In questo numero:

Editoriale

01. Racconto del Mese

02. Gesta di Lot

03. Nuovi Racconti

04. Gilde e Mestieri

05. Clan del Mese

06. La vita di ...

07. De Mundi

08. Il Grande blu

09. Delle Arti

10. Calendario di Lot

11. Miti e Leggende

12. Colori e Sapori

13. Armaguardia

14. Sussurri Mistici

15. La Clessidra Magica

16. Storie dell'Altro Mondo

17. Libera la mente

18. Vox Populi

19. Luoghi di Lot

20. Il Ducato visto dagli abitanti

21. Scorcio su..

22. Uno sguardo sul passato

23. Racconti da Mot e dintorni

 

 

 

 
Anno XXII - Mese 12° - Giorno 11°
 

 

[ Hirden Fjorden ] Signora dei Ghiacci, Regina dei Fiordi: Vivian Hårfagre Fjørden.
AERE.

Signora dei Ghiacci, Regina dei Fiordi.
Dronning.
Il primo a parlarmene fu Glenyller Avelerg Von Duster, che era stato Sommo Detentore dell’Arcana Saggezza e che, come tutti i detentori, aveva il compito di registrare, redigere ed archiviare la storia delle nostre Terre.

Mi parlò di questa giovane dai capelli biondi e dall’incarnato color neve che impugnava l’Ascia contro le Orde vomitate da Honot, che sfidava il gelo delle vette montane e le fiamme dei Portali dei Diavoli, che dava voce ai popoli sconfitti e alle vittime innocenti onde riconquistare ciò che era stato loro rubato.
Se Honorius, mi rivelò Glenyller, avesse voluto nominare il suo più acerrimo rivale, avrebbe dovuto a buon diritto inserire la Regina Vivian Hårfagre Fjørden nella lista dei pretendenti, perché l’ardimento, lo spirito, la pervicacia che la contraddistinsero furono cose rare.
E sono cose note.

Poi, alle parole di Glenyller, si aggiunsero le altre, e accadde che io volli constatare con i miei occhi quanto delle prodezze della giovane Viking rispondesse a verità.
Mi recai nella lontana Jordenfjord, la Regione del nord che le diede i natali, ma non ebbi fortuna nelle prime ricerche. Il suo nome rimbalzava da una cronaca all’altra in modo singolarmente insignificante, tracciato su pergamena quanto avrebbe potuto esserlo il blasone di un villano o la scomparsa di un sigillo minore.
Sbagliavo a dubitare.
La noncuranza era solo apparenza, le tracce meno scarne di quanto immaginassi.
Le scritture confutavano le menzogne circa la sua progenie, che era in realtà di lignaggio, e il suo destino… il suo destino era una legge in procinto di promulgarsi, perché le Tre Norme erano già in subbuglio.

Dovevo il mio errore alla fonte da cui stavo attingendo, una matrice più avvezza alle asce che alla penna. Il popolo del nord recitava i suoi salmi in raccoglimento, con voce e canti, ed elogiava i suoi fatti senza l’ausilio di una precisa stesura. C’era poco tempo, in quel mondo di sacrifici, per arrotolare pergamene ed affidarle al prossimo, c’era poco spazio per chinarsi su uno scrittoio quando le minacce che pulsavano al confine inducevano le mani a stringere un’elsa piuttosto che una piuma.

E, così, dovetti affondare nel passato, studiare le radici, indovinare i presupposti e dedurre le conseguenze.
Mi strappò un sorriso ritrovarla nel diario di bordo di un dreki, il naviglio che la gente vichinga soleva varare per diffondersi sui mari e oltre. Ritrovarla, quella Vivian bambina, segnata tra le righe di un taccuino logorato dal sale e dal vento, tra le schiere di un equipaggio pronto a invadere i porti di uno sconosciuto regno australe. Pensai, con diletto, a quanto valore stesse per espandersi dove gelo e tormente non erano che una chimera, e di quanta provvidenza avrebbero goduto i reietti e i miserabili in cerca di riscatto con l’avvento di una donna ancora fanciulla ma già tanto fatale.

Ma, in seguito, il sorriso lasciò il posto al cruccio, poiché nulla di piacevole e faceto riconobbi nel viaggio della sua vita. Quel fato di speranza e prosperità non toccò ad etnie baciate dal tropico, bensì al Granducato. E quel fato di speranza e prosperità tardò a giungere a dispetto del suo germoglio.

Persi il cammino della Regina sui referti di quel diario, avendo la nave fatto ritorno in patria senza documenti che ne attestassero la presenza, e compii il percorso a ritroso per scovare indizi. Avrei condotto i miei passi fin negli eremi del sud se non mi fossi arenato, per buona sorte, nel Granducato, per l’appunto.
Laddove il passaggio dei vichinghi confermava ancoraggi, ogni carico e scarico veniva a sua volta confermato dai libri di commercio, dunque la mia indagine ottenne successo.
Come sedicente biografo stavo lentamente acquisendo dimestichezza nell’investigazione, e sebbene ora possa contare sulla compiacenza della Regina per comporre i tasselli della sua vita in evoluzione, allora potevo contare solo sulla volontà. E fu certo volontà quella che mi spinse all’esame di qualsiasi elenco, rubrica o mastro che potessero riportare, ancora una volta, il suo nome.
Unii nuovamente le tessere del dipinto, avvalendomi del rinnovato appoggio dei Detentori, ed ecco spiegata la ragione del mio sorriso spento.

Vivian Hårfagre Fjørden, la Regina dei Fiordi, la preziosa fanciulla del nord aveva consegnato la propria insegna all’incubo dell’inopia, mascherandosi da mendicante. Disgrazia e rovina le erano state imposte, la truppa che l’aveva abbandonata sulle banchine del Granducato, forse per preservarla dal sangue delle conquiste, non era ritornata da lei, e i locali non si erano mossi a compassione.
Giorno dopo giorno, la presa di coscienza non le diede scampo. La spregiudicatezza si infilò nella sua ancor fragile corazza corrompendole la fiducia, tramortendole la virtù, innalzandole il peccato. Ebbe a scatenarsi per un tozzo di pane rubatole o infuocarsi per un osso in contesa.
E conobbe le privazioni, accettò lo scontro per difendersi, imparò a vegliare con un occhio e dormire con l’altro.

Sola, sperduta, afflitta. E, più tardi, salda, attenta, scaltra.
Ciò che mi venne detto mi lasciò inebetito. In principio non seppi credere che la Regina avesse potuto spartire con fogne e criminali il bisogno di sopravvivenza, e mi ferì la consapevolezza di doverci credere assolutamente: era tutto vero.
Sospetto che a un certo punto la natura che le era propria abbia avuto il sopravvento sull’empietà che la stava consumando, e che fu quella sua disposizione d’animo a scegliere per lei la nuova via. Una via fatta di lame e coraggio, di cerca di valore, di foggia meno umile.

L’Esercito Ducale le diede aria migliore, ma soprattutto la estirpò dal campo maligno che la stava inghiottendo. E se, con il senno a posteriori e con il conforto delle confessioni della stessa Regina, sento di poter assegnare a quello che divenne Armata del Granducato un ruolo principale nell’istruzione militare e nell’assetto della disciplina che le vengono tutt’ora prescritti, di pari passo, a quel cosmo malato in cui soggiornò ai primordi non posso non imputare una veste da simile maestro. Perché dalle ombre conseguì la fierezza dell’immolazione, come dalla luce il giudizio delle scelte. Crebbe nella barbarie della violazione, fiorì nella giustizia dell’ordine.

Lo spirito che oggi, adesso, qui, la legittima, nacque allora, dall’abbraccio di due mondi distanti, opposti: il pregio più grande cui un’Anima possa aspirare quando sia destinata alla grandezza.
E quella grandezza sbocciò tanto gradualmente quanto progressivamente appassì la memoria del buio.

Riesco a collegare i brandelli di ciò che fu, a farne schema, e ribadire che Ella, con le intenzioni già prima che con le azioni, guadagnò prestigio e uniformi, scalò gerarchie, sprigionò possanza nelle imprese di una milizia messa costantemente alla prova da un nemico inesorabile e temerario.

Ah, dei! La guerra che desta impressione e che continuamente ci corrode.
La guerra frequenta le viscere dei valorosi come l’ortica il fosso dei fiumi!
In ogni angolo di trincea si nasconde l’onta. O la vittoria.
La battaglia genera vili. Oppure eroi.
E quando siano fibra morale e braccio vigile a indossare armatura e impugnare lama, allora il risultato non può che essere uno.

Honorius, l’infimo, si capacitò delle creature avverse a costo del suo stesso sangue. Orchi, Goblin, Cavalieri di Morte lasciarono le loro tane con compiti di distruzione, invasero la Cittadella superando gli argini dei difensori, e si propagarono come il veleno sulle piante indifese.
Ho rivendicato il rapporto dagli archivi della Biblioteca Ducale, ma peccherei di superbia se mi vantassi d’aver trovato una reliquia, poiché le gesta di quella Armata… di quella schiera di uomini coraggiosi… in quei giorni, sono sotto gli occhi di tutti.
Così come i loro nomi.

Nella primo lustro della neonata Vivian Hårfagre Fjørden, la sua famiglia ebbe l’abito del soldato e l’affetto del rigore, eppure la scintilla che singhiozzava nel suo cuore non poteva che possedere il viso della sua famiglia. Nulla era morto. Il richiamo ancora potente. Un nodo inestricabile attorno a cui, per dovere, gravitava il futuro della Regina.
Ancora una volta, la Triade suprema stava tramando l’arazzo: “Così le
Tre Norme decisero che il filo della di lei vita andasse ad intrecciarsi con quello d`oro che simboleggia la Gloria”.

Non tradì la compagnia che l’aveva accolta ed entro la quale continuava a distinguersi, fece però appello alla coscienza e venne a patti con i suoi trascorsi stabilendo un nuovo contatto con la terra d’origine.
Scavalcò i monti, seguì il sentiero del ricordo. Fece ritorno a casa.
La sua Jordenfjord, gelata e calorosa al tempo stesso, la salutò per ciò che era divenuta: un condottiero.
Molto ci è dato di sapere circa la vita della giovane del nord, molto altro resta invece chiuso negli scrigni segreti. Nessuno può spiegarne il motivo. Nessuno può decidere di violentare il mistero che intima a un’Anima di restare in silenzio.
Ma io fui al suo fianco, quando ella reclamò, e ottenne, la Corona dei Fiordi, e in fede posso giurare che non ci fu tacito consenso alla conquista. Ma un solenne, sincero, e rumoroso omaggio.
Finalmente, e per la prima volta dal momento che mi imposi di narrare di lei, i miei occhi si posarono su una fanciulla non più fanciulla. Sulla Signora dei Ghiacci.
Sulla mia Regina.
Non potrei privare questa saga di un dettaglio così importante. Stringere il pugno, lavare lo sguardo con un pianto benevolo: ecco ciò che di più profondo… di più assiomatico… rappresentava quell’investitura. La convinzione di essere suddito e non schiavo.
Misi da parte le emozioni, come fece lei.
C’erano altri orizzonti da raggiungere, e altri valichi da superare.
Il nord era al sicuro… ancora lontano dai roghi diabolici che bruciavano a sud.
C’era una Cittadella da salvare.
E se, ora, Regina lo era di fatto, voleva continuare a esserlo anche nel cuore.

Scese con una schiera di fedeli, i primi della corte, e piantò l’emblema reale nella foresta bianca, il Porto del Sole. Da allora il vessillo del leone con corona e ascia sventola rampante nel suo campo cremisi, catturando vento e sguardi.
Da allora, nessuna schiatta di creature deformi e squamose ebbe il predominio. Puntualmente respinta, ricacciata al di là degli stessi Portali da cui era scaturita. A quella schietta venne negato accesso, venne impedito di dilagare, venne trafitto il collo.
Gorgoni, Lupi Neri… E ancora Fauni e Giganti e Ragni Mostruosi. La fossa immonda governata da Honorius rigettò sotto forma di carne e artigli tutta la sua perversione, manifesto di quanto l’Essere pravo temesse il manto giunto a proteggere il Granducato.
Annoto, di quei giorni, il sangue di Anime valorose nella battaglia di Minas Erik, e il prato verde dei cadaveri improbi su cui era calata l’Ascia della Regina.
La sua, e quella dei suoi fratelli e dei suoi alleati.
Mai più il morbo degli Honottiani ebbe a prevalere. Mai più l’alba spuntò sull’egemonia di Mot.
Il Fjorden Riksvåpen che stava sorgendo nel Granducato condannò Honorius.
E così… eccolo! Così nacque il nome della Regina nella lista dei suoi grandi ostili.

Eccolo, il suo Antagonista.
Un Clan che rende di ferro le promesse e riduce in polvere le ingiustizie. Che abbassa il sole sulla marcia delle Orde Rivali.
I giuramenti di Vivian Hårfagre Fjørden, quelli che lei fece a se stessa nelle cupe veglie della sua esistenza, riaffiorarono con potenza in quegli anni, raccogliendo a mano a mano il popolo dei ghiacci.
Esso seguì la voce del sangue ancor prima della devozione, si radunò sulle sponde della nuova Jordenfjord che la Regina stava fondando nel Granducato: Romsborg.

Fortilizio abbracciato dalla benedizione degli Aesir e di Þórr Jarl il Leggendario, approvata dalla legge dei nobili Conti e dal gran Ciambellano, accettata dalle Gilde del Ducato.
Dimora dei guerrieri e dai viaggiatori dalle contrade boreali.
Riparo per gli Uomini anelanti giusta gloria e lotta alle Forze del Male.
Romsborg fu la chiave. Fu l’intreccio. Fu l’effetto.
Ridisegnò a forti tratti gli ideali della Regina fornendole capacità d’azione e prospettive.
Rielaborò il concetto di intimità e fratellanza su cui lei in mille occasioni, durante la segregazione nei bassifondi del regno, aveva fantasticato.
Trasmise sicurezza e sigillò le Tre Norme, consolidando quel virgulto di visioni che la Signora dei Ghiacci aveva pasciuto in seno per tutta la vita: lo scudo contro Honorius.

Nulla di quanto è ora avrebbe potuto essere senza ciò che fu. Nulla di ciò che fu è diverso da quanto esiste ora. Nella sua completezza, nella sua compattezza, coesistono in perfetta armonia tutti gli elementi che regalano vigore alla famiglia. Fratelli, ciascuno degno, ciascuno devoto.
Se impartire le regole della condotta è stato compito della Regina, il progresso del Clan lo è stato dei suoi membri.
Nel duello e nella semina, o nella forgia di idee, e ancora nell’estuario di pensieri che ha mondato dall’imprecisione, dalla difficoltà, dalla bugia, tutti occupano un posto.
Dal Dronning allo Jarl, dal valoroso Skutilsveinr al romantico Skald, alla sanguigna Tysknskjoldmo, ogni Anima continua ad attirare su di sé la gratitudine della Regina.
E’ persuasa, lei, di dissolversi nella cenere quando Romsborg si svuoterà.
E’ persuasa, lei, di vivere per loro.

Io stesso mi assolvo per il capriccio del sentimento, e per l’amnesia di frammenti di storia, e per la benevolenza della parte che mi è stata assegnata, tuttavia non si può distogliere l’attenzione da quanto le cronache riferiscono, poiché io sono Harald, e invero sono l’Araldo. Seguo il viaggio di Vivian Hårfagre Fjørden, la fanciulla che agonizzò nel baratro della miseria, orfana della sua terra, e che cambiò le sue fortune .
Prose o poemi non nuocerebbero all’enfasi di dare identità alla Regina dei Fiordi, e ne abuseremmo senza dubbio, come suppongo se ne abuserà a posteriori, però ad un Araldo spetta un compito più semplice.
Dire la verità.

Acapulco.