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[Circolo della Poesia e dello Spettacolo - Custodi dell`Ade] L`urto del divino
Sono malato, credo, di una malattia senza possibilità di guarigione. E` nella mente, che il male si sente. Come descriverlo senza perpetuarlo? Si tratta di un male naturale, di una benedizione naturale, perché è un`invasione e un contagio che produce vertigine, e un formicolio continuo, a volte leggero, quasi come folate di vento, altre invece invincibile e caotico quanto uno sciame di insetti che depositano in ogni possibile parte del corpo i loro bozzoli che già vibrano e, se non rimango attento abbastanza, esplodono in nascite infinite e immediatamente abortite, brusii senza alcuna direzione e senso, fino alla nausea o ad una gioia tragica mista al panico, spesso confinante con lo svenimento. Lògos spermatikòs ridotto a frenesia, forse degenerato, forse no - non saprei come altro chiamarlo. Niente a che fare con la scrittura o la "creazione" di opere. Cos`è? Che natura ha? Non è umano.
Ho interpellato il Cancelliere dell`Ade, Cristallo. Quali tracce racchiude il divino? Dove esse si incontrano?
Ed ella così mi replica:
Doveva essere una semplice richiesta, un invito.
E` divenuto uno spunto di riflessione ed a parlare, oggi,
in questi minuti che si susseguono, sono le mie viscere,
come fossi nuda, priva d`armamenti.
Chè è così che siamo di fronte a certi sentimenti.
Cosa resta, cascato l`intonaco?
Cosa rimane, sedotta la corteccia?
C`è chi si accontenta di una libbra di carne da stringere,
io cerco semplicemente altro, incastrata nei miei giochi chiaro-scurali.
Giaccio su un talamo che è una loggia, nella periferia dell`amore
laddove il rumore è pari a zero ed il silenzio non ha ragion d`essere.
E` la nostra regione e briciole d`umanità. Umanità ed eternità.
E lasciatemi stare, qui sospesa
al limitare del mio crinale:
una lingua d`universo (ri)flessa
che si incurva sotto il cieco rintocco
di un sole mai nato - forse estinto?
In esilio, un afflato e cos`altro?
Buio pesto. Soffia, scivola, scende
prona - china - vinta... Il suo verso
così poco selvaggio, sfinge e sogno
un miraggio. Omaggio. Il linguaggio
pestato dal tumulto della gente
nella corsa sfrenata tra i sepolcri.
Io la sento questa eternità che
cola. Lasciatemi a questa congiura:
da questa fossa non posso salire.
Le mie tracce di divino, invece, le incontro così; qui:
Ecco l`arcata, qui, che ci accomuna:
spigolo e muschio, lavanda e veleno,
l`amore. L`osso nello sterno picchia
e batte in silenzio di pietra e cuore,
ma io so che è quella scoscesa
stradina, la mia, che sale verso
costellazioni buie e assiderate,
infinite, gelate... Riepilogo
la strofa perfetta, vuota, passata
di bocca in bocca, guantata, lustrata:
paradiso di fresie, di timo, mi
metto a guardare l`urto del divino,
lo scalpo della crepa è complice
di Dio. Viene un odore d`umido,
di donna bella, più vero del vero.
Dio quali sembianze, profili e arcate assume? Infiniti.
Merfin Archer D`Angarà, Bardo;
Rossana Van Bach, Cancelliere dell`Ade.
[Pubblico su autorizzazione del Primo Bardo del Circolo]