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LA VITA DI... |
Ci son visi e
sorrisi che incontriamo arrivando in un luogo che restano
scolpite nel nostro immaginario e che al ricordo di quel
luogo leghiamo per sempre.
Umani, elfi, a volte fate e folletti, gente qualsiasi che
non ha nomi altisonanti come Principe delle Tenebre o
Pendrawen o Shalafi Nero.
Gente comune.
Ma che con un sorriso, una gentilezza, un vezzo sanno farVi
subito percepire uno stile di vita ed un modo di essere e
fare, che lentamente entra in Voi, diventa Vostro e Ve lo
portate dietro nel tempo, per sempre, quasi senza saperlo.
Persone a volte di umili origini, come un’Ostessina, che non
hanno mai voluto cambiare quello che sono e che per questo
meritano qualcosa di più della nostra stima.
E di una di queste che Voglio parlarVi: dell’Ostessina Stefy
73 che fu la prima che incontrai giungendo in queste terre,
in tempi ormai molto lontani.
La vidi in Taverna intenta e servire vino elfico o birra
nanica ed a tener buona una nutrita corte di spasimanti, con
calici di cristallo e mille parole.
Ricordo con dolcezza, la malinconica dolcezza della memoria,
quella memoria involontaria che ti sale dentro, che ti
attraversa facendoti rivivere le cose con mille piccoli
dettagli, ricordo bene i suoi riccioli rossi che le
ricadevano ribelli sul suo viso, i suoi grembiulini di
pizzo, le sue manine, la sua essenza di muschio bianco e,
perché no, il suo seno rigoglioso, che attirava non poco le
fantasie di questo marinaio, di questo bambino cresciuto
male educato da un mozzo e da un timoniere, quando Vi
nascondeva le monetine che incassava.
Quella stessa Stefy l’ho rincontrata tempo fa, triste e sola
che girava per le vie, dormendo sola, credo alla Vecchia
Cittadella dalle parti del Tempio.
L’ho riconosciuta e l’ho cercata, per sapere cosa facesse
lì, come mai non fosse in Taverna ad accogliere Viandanti e
Stranieri e l’ho invitata in Biblioteca, da Noi Detentori
per parlare un po’ insieme.
Abbiamo rinvangato i vecchi tempi, mi ha narrato un po’ di
lei, dei suoi mille amici, del suo grande amico Florian
Geyer, della sua compagna di avventure Cleonice, che lo
sposò mi pare, di un tal Pier, per cui l’ho sentita
intenerirsi, di un matrimonio andato a rotoli con quel
Iacopone, svanito nel nulla, di Avalon, quell’elfo biondo
con le treccine, di Haggart, Haggy, intelligenza pura allo
sbaraglio e dei suoi colleghi gli osti Jack Folla, Ameliara,
quella che ho incontrato in una taverna lontana sulle rive
di un lago, di Raycom.
E Vi era un tal Prester con lei in Taverna una sera che ci
siamo rivisti, quando avevo deciso di scrivere di lei queste
cose, che guardava ed ascoltava, come se di quei ricordi
fosse in qualche modo parte.
Le ho chiesto perché non fosse più al suo posto, perché
avesse lasciato.
Mi ha risposto che la maleducazione delle persone era
diventata insopportabile e che non poteva servire in Taverna
sotto scorta. Ho capito, perché conosco il peso della fama,
e di come, a volte, la gente s’illuda di poter diventar
famosa perseguitando un nome noto, una figura in qualche
modo in vista.
Ha anche detto che era giusto che altri, a questo punto,
prendessero il suo posto.
Ora signori, io ho viaggiato ed ho visto paesi e Locande, ma
non ne ho mai incontrata una così ricca di vita come quella
di Stefy.
E dove non ho visto una tale Taverna ad accogliere chi
giungeva, non ho neppure mai visto una città davvero felice
e coesa.
Vi sembrerà banale e sciocco, ma io credo che molto di
quello che abbiamo in questo Granducato lo dobbiamo a Stefy
ed a quelli come lei, che hanno saputo accogliere con un
sorriso chi giungeva, spiegato con un battuta che la vita,
questa nostra vita, è un gioco.
E quando poi quei viaggiatori si sono addentrati nelle vie
del granducato hanno portato con loro i riccioli rossi di
quell’elfa e le sue pillole per la dislessia.
Giocando come lei il gioco della loro vita.
Gano di Palo
Custode degli Annali della Storia
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