LE GESTA DI LOT

Spada Benedetta - La Prova più Dura

Quando si destarono l'Hobbit Paimon sentì il bisogno di riflettere: erano giunti all'ultima parte del loro lungo viaggio, attraverso le Sephirot dell'Albero della Vita, e qualcosa quella sera sarebbe successo affinché la Spada che con cura avevano portato fino a quel momento con loro, venisse Benedetta dall'Albero della Vita.

Mentre Paimon comunicava i suoi pensieri ai presenti, una luce apparve improvvisa e, a poco a poco, si delineò la figura della Shekhinà che li aveva fino a quel momento accompagnati lungo il loro difficile cammino.

<<Ben trovati avventurieri. Siete giunti ormai alla fine del Sacro Sentiero; la Spada è stata portata qui con onore e coraggio. Vi manca ancora l'ultimo sentiero da percorrere, la Sephira Chockmah, la Valle Segreta. Questo sentiero è rappresentato dall'Arcano senza numero, il Matto. Affrontate quest’ultimo viaggio e state attenti, perché a volte non tutto è come noi lo vediamo>>.

Detto ciò scomparve, lasciando la compagnia all’ultimo cammino nelle Sephirot.

Mentre il sentiero veniva percorso, un’ombra si delineava mano a mano che andavano avanti.

L'ombra restava immobile, rivelandosi lentamente per quello che era: un grosso masso posto al centro del sentiero.

Il masso occupava tutta la larghezza del camminamento, era molto alto e non permetteva alla compagnia di avanzare in alcun modo.

Tutti si fermarono ad osservarlo, per capire come potevano fare per passare.

La luce della notte si rifletteva sul centro del masso, dove qualcosa di metallico era conficcato; l'Angelo Novecento volò in alto, per poter meglio guardare l'oggetto, scoprendo che in realtà era una serratura.

Gli altri attendevano che Novecento dicesse loro cosa aveva scorto e se avesse capito come fare a passare; intanto si guardavano intorno, il sentiero era chiuso dal lato destro, mentre sul lato sinistro c'era una grotta buia.

Quando Novecento disse loro che c'era solo una serratura, convennero che l'unica cosa da fare era entrare nella grotta; egli dispose che tutti gli Angeli s’illuminassero e che facessero cerchio intorno agli Hobbit per proteggerli.

L'entrata della grotta era molto ampia e l'illuminazione degli Angeli rivelò un'iscrizione.

"Qui le armi non serviranno, solo il potere della mente è concesso, le armi sono un gran danno, e rendono l'uomo ossesso".

Dopo averla letta rinfoderarono le spade e proseguirono ancora più guardinghi di prima. All'interno della grotta notarono che si respirava un forte odore di ferro, ipotizzando che potesse trattarsi di una miniera.

La grotta diventava sempre più ampia, man mano che procedevano, era piena di cunicoli che arrivavano molto in profondità nelle viscere della terra.

Il cunicolo che il gruppo stava percorrendo finì in un'ampia sala ovale, in questa strane figure sembravano attendere l’arrivo della compagnia.

In fondo alla sala un trono, su questo stava seduta una persona, circondata da altre figure; gli Angeli e gli Hobbit li salutarono timidamente, aspettando che qualcuno rivolgesse loro la parola.

La figura sul trono li guardò uno ad uno e poi soffermò lo sguardo ghignante su Paimon, il suo sorriso non era per niente amichevole quando iniziò a parlare.

«Siete arrivati in un posto in cui non sareste dovuti arrivare, stranieri, ora dovete pagare per il vostro passaggio» poi fissando l'Hobbit aggiunse: «Ed egli sarebbe colui a cui è stata affidata la Sacra Spada».

Alcuni Angeli misero istintivamente la mano sull'elsa della spada, dicendo anche di non farsi ingannare dall'aspetto perché era molto più coraggioso di quel che poteva sembrare un piccolo Hobbit.

La figura guardò l'Angelo Adya e le disse che lì le armi non sarebbero servite, che erano giunti nel Regno del Matto e solo l'immaginazione aveva il potere di cambiare le cose.

Paimon lì per lì svenne dalla paura, ma si riprese subito, aiutato dagli Hobbit vicino a lui.

Un Angelo disse che purtroppo erano stati costretti a passare da lì, altrimenti avrebbero volentieri scelto altre strade se ve ne fossero state; la figura rispose che nessuno li aveva obbligati e che gli intrusi erano loro, in fondo.

A queste piccole frasi si alternavano lunghe pause di silenzio, mentre gli sguardi passavano veloci da un volto all'altro.

Ad un certo punto chiesero cosa dovessero pagare per potere passare, la nera figura si alzò e disse che non sarebbero passati se non avessero prima pagato il Matto.

«E questo è uno di voi» aggiunse «Mi chiamano in mille modi, il Matto, l'Innominabile, la Paura, la Solitudine, la Pazzia … un nome per me vale l'altro».

Decisero che solo l'Hobbit poteva passare, in fondo era lui che aveva la Spada ed a lui toccava portare a termine la missione affidatagli.

La nera figura fece segno all'Hobbit di avvicinarsi a lui e indicò ai suoi scagnozzi di bloccare il passaggio agli altri.

«Vi ripeto, le vostre armi non servono e neppure la vostra luce. Se volete impazzire i miei scagnozzi non hanno che da toccarvi la fronte. E’ molto divertente guardare qualcuno che diventa pazzo, non avete mai provato? Vedete i miei compagni sono stati talmente coraggiosi da avermi sfidato ed ora sono qui a farmi compagnia. E’ stato molto, molto divertente sentire le loro urla mentre impazzivano, e, a dire il vero, è da molto che non sentiamo più qualcuno urlare».

Paimon, forte del coraggio trasmessogli dai suoi compagni, si avvicinò sempre di più al Matto. Ma questi allungò una mano verso di lui e gli toccò la fronte; una nera aura coprì all'istante Paimon, il suo volto divenne livido e gli occhi si fecero vacui, intorno a lui le risate impazzite delle figure echeggiavano, rimbombando nella sala e creando un forte eco.

Paimon cominciò ad urlare che la grotta era sua e cominciò a fare gesti come per mandare via i suoi compagni: <<Andate via! E’ mia questa grotta!>>.

L'hobbit si contorceva a terra mentre continuava ad urlare che la grotta era sua; l'aura nera intorno a lui si faceva sempre più spessa.

Gli Angeli si concentrarono su sé stessi, sulla luce che portavano, ma vennero distolti dalla voce della nera figura che disse loro che ora potevano passare, poiché il pegno era stato pagato.

Gli Angeli non volevano andarsene senza Paimon e dissero alla figura che lo avrebbero portato con loro.

«Prendete la vostra Spada, a me non serve. Qui siamo in ottima compagnia>> disse indicando Paimon che ora era accanto a lui <<Lui resta con me, non abbandonerà mai più questo regno».

L'Angelo Novecento chiese alla figura cosa volesse per lasciarlo andare, egli rispose che voleva la sua follia e lui accettò di sostituirsi a Paimon.

«O ve ne andate tutti lasciando qui Paimon, o resterete tutti qui con me; in fondo avete delle belle voci: sarete un'ottima compagnia!» disse ghignando.

Novecento si avvicinò di più alla nera figura e gli prese le mani, gli disse che erano molto belle, poi, velocemente, ne prese una e la spinse con forza contro la sua stessa testa, urlandogli che matto sarebbe divenuto lui, del tutto e subito.

La figura cominciò a ridere furiosamente, mentre gli altri guardavano straniti ed incuriositi dal gesto dell'Angelo. Le altre figure andarono dietro al loro padrone e cominciarono a ridere; ridevano senza fermarsi e senza più badare alla compagnia.

Era il momento buono, presero Paimon di peso e lo portarono via proseguendo di corsa il loro cammino e lasciandosi dietro le risate folli di quelle figure.

Gli Angeli cominciarono a parlare a Paimon di torte, di donne e dolcetti … continuamente finché lui sembrò ascoltarli.

Finalmente furono fuori dalla grotta e lì una forte luce li investì, era la Shekhinà che, allungando una mano, toccò la fronte di Paimon, il quale poco a poco si riprese e cominciò di nuovo a respirare regolarmente, mentre i suoi occhi tornarono normali e anche il colore della sua pelle.

Poi disse loro: «Ricordate cosa vi dissi? La realtà non è sempre come la vediamo ed io ho visto Paimon, normale come sempre, come è sempre stato, il potere della luna ha fatto il resto. La Spada che avete con voi ora è stata benedetta, ha fatto tutto il cammino dell'Albero della Vita ed è pronta per esser portata dove deve esser condotta» sorrideva felice alla compagnia, mentre pronunciava queste parole. Poi continuò: «Aprite la porta della roccia con la chiave che avete preso nella grotta, lì troverete il Tempio più Intimo, ivi il vostro viaggio avrà fine. Il mio compito è finito ora, non vi dimenticherò amici miei, e che la grande madre luna guidi sempre i vostri passi».

Andarono tutti verso il masso, l'Angelo Novecento aprì la porta con la chiave rivelando un tempio d’infinita bellezza e soave dolcezza, al tuo interno regnava la pace più profonda.

Quando tutti furono entrati, una luce calda li avvolse e li trasportò a Lot, alla Rocca, dalla quale erano partiti. Si salutarono e tornarono ognuno alle proprie case, lieti ed arricchiti nell'animo da una nuova esperienza.

Sixie - Detentore dell'Antiche Tradizioni