LE GESTA DI LOT
Ritorno a Krynn - La Terra Promessa

L’avventore seduto ad un desco della Taverna avrà forse ascoltato queste parole da un viaggiatore sconosciuto, appena giunto da un lungo cammino. Non la sua veste lacera e nemmeno le calzature macinate dalla strada e dalla polvere gli avranno impedito di volgere l’attenzione ai fatti narrati, per poi ripetere gli eventi uditi ad un amico, e poi ad un altro ancora.

Così nascono e si sviluppano le leggende, così la Storia rivela eventi a lungo nascosti dal manto dell’oblio.

E le gesta dimenticate alfine trovano meritata fama ed il giusto riposo in ordinate colonne su pergamene che verranno scorse da molti occhi.

Gli eventi di cui andremo a narrare passarono dunque, di bocca in bocca, fino ad essere raccolte da colui che scrive, e collocate, come in un paziente mosaico, ad altre minuscole tessere, per formare un disegno dal senso compiuto.

Se si presta fede a sussurri che stormiscono insieme alle fronde, aleggiando da tempi immemorabili nelle più antiche foreste, la Dea Themis, nella Sua infinita saggezza, prima di abbandonare il Krynn disegnò nell’aria le forme di un portale, un magico passaggio che consentisse ai suoi figli più fedeli di raggiungere la terra della pace e dell’armonia: Lot.

Per innumerevoli corsi di luna gli Elfi Kagonesti, Dargonesti e Dirmenesti navigarono fino all’isola ad Ovest del continente di Ansalom, ove sorgeva il portale. Solo il fragile guscio di una barca ed il benigno incantesimo della Dea, li difendeva dai violenti temporali che imperversavano sul quel tratto di mare, guerrieri naturali che ostacolavano con spade di folgore e scudi di nubi la navigazione degli estranei.

Lo stesso tratto periglioso di spume e di marosi fu percorso un giorno da un Elfo coraggioso di nome Elijah. Egli giunse tra le mura amiche del Granducato di Lot ed ebbe modo di farsi presto valere per il coraggio e per il forte senso d’appartenenza alla propria razza.

Per queste qualità entrò nelle grazie della Regina di tutti gli Elfi di Lot, Squirrel, che lo nominò Dol Atar di tutti i Kagonesti.

A gruppi sparuti, stanchi per il viaggio e provati dalle tempeste, larghi di occhi per lo stupore e stretti nelle lebbra secche per le privazioni patite, gli Elfi Kagonesti affluivano come un rivolo stentato, ma costante, nell’ampio alveo del Granducato, dove sotto l’ala protettrice di Elijah trovavano la pace e la serenità da sempre desiderata.

Correva il 2° mese dell’anno V all’interno del Granducato, ed i calzari dei Kagonesti risuonavano sempre meno spesso nella vociante Piazza del Mercato, sui silenziosi gradini del Tempio di Themis, sulla bianca ghiaia dei Giardini delle Delizie.

Un giorno, il Dol Atar Elijah si trovò a non stringere neppure una mano, a non serrare nell’abbraccio fraterno nemmeno una schiena, a non pronunciare nel liquido linguaggio degli Elfi la parola “fratello”.

L’inquietudine cominciò ad albergare nel suo animo ed il secondo giorno vuoto d’arrivi si trasformò in preoccupazione.

La notte non calò sul terzo giorno, senza che il Dol Atar prendesse una decisione.

Raccolse il mantello da viaggio ed una sacca con frugali provviste, scrisse una breve pergamena dove spiegava i motivi della propria assenza e partì, sfidando le insidie del mare in tempesta, per raggiungere l’isola a Sud delle Ergoth, patria dei suoi fratelli.

Giunto all’isola del portale, prese il mare su una piccola barca ed ancora una volta la benevola ed invisibile mano della Dea calmò i marosi, blandì le onde, resse le briglie degli irosi cavalloni che si ergevano, sbuffando schiuma dalle nari, per dilaniare l’agile legno dell’Elfo.

Quando raggiunse l’isola, lasciò che la barca s’arenasse sulla battigia e mormorò un ringraziamento a Colei che l’aveva protetto. Nascosta l’imbarcazione con rami e foglie, si diresse con passo veloce ed il tumulto nel cuore verso l’interno.

Non percorse che pochi passi, quando un’orrenda creatura si profilò all’orizzonte.

Intorno a lei sembrava allignare un’aura maligna, i suoi contorni sfumati anche nel chiarore di un cielo azzurrissimo consigliarono ad Elijah di ripararsi dietro ad una grande pietra.

Sporgendo il volto quanto bastava per osservare senza essere visto, notò la massiccia e sgraziata corporatura del viandante, il suo volto idiota e famelico, l’andatura strascicata.

Alla cintura, gli parve di intuire la presenza di capelli e non osò pensare a chi fossero appartenuti.

Elijah chiuse gli occhi e recitò una breve preghiera in elfico. Il suo sesto senso gli diceva che avrebbe incontrato altre creature come l’Orco che era appena scomparso dalla sua vista, di cui sentiva però ancora, con l’acutissimo olfatto, il lezzo nauseabondo.

Con circospezione, si levò dal nascondiglio naturale, si spazzò il mantello e ricominciò il cammino verso gli insediamenti abitati, con lo stesso ardore ma con molta più cautela.

L’orrore che l’aveva accolto si rivelò solo una minima parte di quello che l’attendeva.

Non solo Orchi, ma anche strane creature ibride, con squame e fauci di Drago, mostruose Chimere che ormai si erano impadronite dell’isola.

Nessuna traccia di Kagonesti.

Così rifletteva l’eroico Dol Atar, celandosi per l’ennesima volta alla vista di uno degli invasori. Evitando dell’uno la spada, dell’altro gli artigli, del terzo le fauci, Elijah riuscì, forse ancora protetto dallo sguardo della Dea, a ritrovare la propria barca sulla spiaggia.

Affrontando di nuovo i marosi, con le energie rimanenti, raggiunse così il continente di Ansalom, dove pensava di trovare risposte alla domanda che l’aveva spinto ad abbandonare gli agi di Lot per la perigliosa traversata.

Nascosta ancora una volta la barca, si addentrò nelle fitte foreste per trovare tracce dei propri fratelli e, soprattutto, per sapere il motivo della loro improvvisa sparizione.

La sua mano toccò ceneri ormai fredde, i suoi occhi caddero su tavole ancora imbandite, stanze frettolosamente abbandonate, casupole vuote come se fossero appena state abbandonate, da Elfi in preda ad una grande ed inspiegabile agitazione.

L’ansia lo pervadeva ormai, decise quindi di avvicinarsi al centro abitato più vicino.

Giunse così alla città di Qualimori, animata dalle grida e dalle contrattazioni di un mercato all’aperto.

Le urla dei Mercanti rivaleggiavano con l’intensità degli odori, ad ottundere i suoi delicati sensi d’Elfo. Ma riuscì a cogliere, tra la folla, una sagoma familiare: finalmente un fratello Kagonesti! Facendosi largo tra i corpi dei compratori e dei curiosi, riuscì a raggiungerlo ed a toccargli lievemente una spalla, salutandolo con una formula antica.

I due Kagonesti si abbracciarono e la fresca penombra di una taverna accolse e soddisfece la sete dell’uno e la brama di sapere dell’altro.

Fra un sorso d’idromele e l’altro, brevi farsi spezzate aiutarono il Dol Atar a ricostruire gli eventi.

La città di Qualimori era stata occupata dagli Elfi Qualinesti, che avevano tratto in schiavitù la popolazione dei Kagonesti.

Un servaggio che era destinato a finire, dichiarò il suo interlocutore battendo il boccale sul tavolo, a finire molto presto. Gli schiavi Kagonesti stavano accendendo ovunque focolai di ribellione, abbandonavano le loro dimore per dirigersi insieme verso la Terra Promessa.

Incuriosito, il Dol Atar si avvicinò di più al fratello Kagonesti e gli chiese dove fosse mai e come si chiamasse quella landa leggendaria.

Ma l’Elfo aveva deciso di chiudere la bocca per quel giorno e si congedò quasi bruscamente, sussurrando solo il nome di una località appena fuori dalle mura cittadine.

Aiutato dal favore delle tenebre, Elijah si diresse verso il luogo indicato.

Notò subito piccoli fuochi accesi, in mezzo a cerchi di scure tende. Interrogando i fratelli Kagonesti, che erano lì accampati dopo la fuga dalla città, riuscì a farsi ricevere dal loro capo.

Dalle sue parole, apprese che, a poco a poco, parole nuove avevano sostituito l’antica leggenda, e Lot non era più la Terra Promessa.

Kalash, questo era il nome di chi capeggiava gli Elfi ribelli, in una notte agitata da un sonno spezzato, aveva ricevuto in dono un sogno.

Le flebili voci e le immagini indistinte sembravano parlare di un’antica leggenda che narrava della Valle dei Perfetti Silenzi, il domicilio sicuro e felice di tutti i Kagonesti.

Il sogno indicava anche la strada, finora riservata a pochi eletti, per raggiungere quel luogo leggendario. La notizia si era sparsa tra i Kagonesti come un fuoco in periodo di siccità e gli Elfi avevano abbandonato focolare e campi per dirigersi verso una salvezza sognata e la perduta libertà.

I Kagonesti di Qualimori avevano appreso la lieta novella dalle labbra dello stesso Kalash e l’incendio era divampato. I Qualinesti tentarono di trattenere i loro schiavi, ma scontri e scaramucce continui fecero loro capire che la contesa si sarebbe spenta solo col sangue.

I Kagonesti furono così liberi di seguire Kalash e ivi si accamparono per accompagnarlo verso la promettente Valle. Il loro capo sarebbe poi tornato per liberare anche i Kagonesti schiavi degli Elfi Silvanesti, signori della città di Silvamori.

Elijah ascoltava stupito le ardite parole del giovane condottiero e a nulla valsero le sagge parole del Dol Atar, l’invito a seguire la vecchia e sicura strada di Lot, piuttosto che le aeree e vaporose tracce di un sogno. Ma l’espressione fiera e gli occhi ardenti dell’Elfo ribelle erano già una risposta.

Kalash rimase con i suoi Kagonesti ad inseguire un sogno, Elijah tornò a capo chino alla sua imbarcazione, mentre un turbine di pensieri gli sconvolgeva la mente.

Quando, uscito dall’ultimo fortunale, intravide ancora una volta la costa, il vento aveva spazzato anche le nuvole che aveva dentro.

Un pensiero si stagliava, chiaro e nitido come la cima innevata di un’alta montagna.

Sarebbe tornato a Lot e avrebbe raccolto tutte le forze disponibili per liberare l’isola del portale dai mostri che l’abitavano, allo scopo di convincere con la forza dell’esempio i fratelli Kagonesti a dirigersi verso una Terra Promessa reale: il Granducato di Lot.

Entrò dunque nel portale.

Splendeva un sole incerto, quando le mura amiche lo accolsero di nuovo.

DONEZ - Consigliere dell'Arcana Saggezza