FRAMMENTO DI LOT
L'Origine delle Caverne di Lot

Circa quattrocento anni fa, prima che la città di Lot fosse fondata, alcuni villaggi umani stavano dove sorge oggi il baluardo di Lot dominato dalla Rocca, mentre le caverne alle porte dei Monti delle Nebbie non esistevano, nessun accesso portava nei meandri dei Monti, al loro posto la rupe si stagliava granitica contro il cielo.

Già allora streghe e stregoni, chiamati più genericamente anche sciamani dalle varie tribù che trovavano dimora in queste terre, celebravano i loro riti alla luce della Luna, invocando la Dea e il Consorte e una moltitudine di spiriti della natura e Dei , le loro conoscenze erano già consolidate da tempi immemorabili ed il loro potere era riconosciuto e rispettato da quasi tutte le razze, erano infatti gli indiscussi capi religiosi delle varie comunità che da tempo si erano insediate in queste terre ai confini del mondo; il loro tempio era la natura e alcune costruzioni monolitiche che ancora sorgono nella campagna e nei boschi di Lot, in cui ci si può imbattere avventurandosi verso i monti.

Già allora si stavano delineando all’interno della comunità di questi sciamani delle origini le prime differenze tra gruppi, gruppi che si sarebbero poi trasformati in quelli che noi chiamiamo streghe, maghi, druidi e sacerdoti e che di là dai monti erano già presenti. La terra dove oggi sorge Lot, infatti, era una terra selvaggia e difficilmente accessibile e la civiltà più progredita giunse qua molto tardi assieme a culti più organizzati.

Tutti potevano diventare stregoni anche se essi erano in particolare umani, tuttavia fra loro era già riconoscibile qualche vampiro, persino demoni e fate.

Gli unici che rifiutavano di partecipare alla comunità religiosa erano gli elfi cui gli stregoni erano particolarmente invisi. Gli elfi, razza naturalmente portata alla magia, non volevano condividere i loro segreti e il loro potere con nessuno, il loro sentire millenario e la loro natura schiva li tenevano lontani dall‘unirsi alle altre razze anche solo attraverso la religione. In particolare le tribù di elfi stanziatesi nella regione sentivano particolarmente queste differenze ed erano divisi al loro interno dal conflitto tra elfi alti ed elfi oscuri che si contendevano il predominio su alcune terre, alimentavano la guerra con un odio secolare. Essi temevano che se si fossero uniti agli sciamani i loro segreti avrebbero potuto essere rivelati ai loro nemici, quindi erano ancora più determinati a tenersi lontani dalla comunità religiosa.

Fu proprio alla fine di una di queste battaglie tra gli elfi alti e gli elfi oscuri che uno dei migliori arcieri degli elfi alti, Thalanthas, si ritrovò a soccorrere una giovane ferita da una freccia. La giovane era riversa a terra semi svenuta, era coperta da un lungo mantello e aveva il cappuccio tirato sul volto da cui uscivano lunghi capelli biondi, la freccia usciva da sotto la clavicola.

Thalanthas non si accorse che la giovane elfa che stava soccorrendo non era capitata lì per caso, essa era un guerriero degli elfi oscuri… La bellissima guerriera con la lunga chioma e la pelle verde grigia, ridestatasi dall’arrivo di Thalanthas, si lanciò contro di lui brandendo un pugnale. Talanthas cadde a terra colto di sorpresa, si rese conto tardi dell‘errore che gli sarebbe costato la vita, la guerriera stava per vibrargli un colpo mortale alla gola quand‘ella si fermò.

I suoi occhi scurissimi lo fissarono intensamente, squadrarono la sua lunga treccia di capelli rossi e si posarono sul tatuaggio che Thalanthas portava disegnato sul petto che si era scoperto durante la colluttazione. Due serpenti intrecciati che si fronteggiavano. Thalanthas era affascinato dalla fanciulla, il suo odio atavico per gli elfi oscuri svanì e rimase a fissarla in un lungo attimo di silenzio. Lei ad un certo momento si alzò un po‘ barcollante per il sangue che aveva perso, lasciandolo libero di mettersi in piedi a sua volta.

“Perché?“ chiese quasi senza voce lui. “Perché non mi hai ucciso?“

Lei sorrise… poi dopo un lungo silenzio cominciò a parlare: “Da bambina solevo giocare tra le ombre del bosco di frassini all‘interno del quale sorge il mio villaggio, mi recavo sempre ad una fonte nel folto del bosco, lì lo spirito della fonte si mostrava a me e giocavamo insieme. Spesso mi raccontava di storie incredibili, di guerrieri, draghi e dei mondi che stanno dietro le acque, stavo ad ascoltarla per ore. Un giorno poco prima che compissi l‘età adulta e cominciasse il mio addestramento, mi parlò solennemente –Bimba mia- mi disse -questa è l‘ultima volta che ci vediamo, tu conoscerai gli orrori della guerra, il dolore e la disperazione. Non posso rivelarti tutto ciò che so, ma la pace tra i due popoli elfici verrà e anche tu a tuo modo ne sarai l’artefice. Tu conoscerai l‘elfo dei due serpenti, egli sarà il tuo amore… Addio gli Dei siano con te- Questo mi disse e oggi vedo i serpenti sul tuo petto, a quelli devi la vita.”

Thalanthas era profondamente scosso, aveva abbassato lo sguardo per l‘emozione, ma quando lo rialzò la guerriera non c‘era più… E non conosceva neppure il suo nome.

Per Thalanthas cominciarono le notti insonni. L’immagine della ragazza elfica non gli dava tregua, finché un giorno al calare del sole non decise di avventurarsi nel villaggio degli elfi oscuri alla sua ricerca. Era un compito pericolosissimo, se l‘avessero trovato l‘avrebbero probabilmente ucciso dopo essersi divertiti a torturarlo.

Indossò una tunica che potesse nascondere le sue fattezze il più possibile e si mise a correre per i boschi.

Arrivò al villaggio degli elfi oscuri oltre il grande fiume a notte fonda, passando accanto ad un alcuni casolari umani, schivando il dirupo dei demoni e infine attraversando le vaste pianure dove molti suoi fratelli erano morti.

In giro non c’era nessuno, era una notte senza luna, molto buia e non fu difficile grazie alla sua abilità ad occultarsi, schivare il controllo delle guardie del villaggio. Camminava all’ombra delle poche case che si confondevano peraltro col resto del paesaggio, molti elfi oscuri amavano ancora vivere in contatto con la foresta e con madre natura, anche per loro era così, benché avesse sentito di bellissime città elfiche che si trovavano al di là dei monti delle nebbie.

Non sapeva dove andare e tuttavia era lì, ma Thalanthas era un devoto degli Dei, al contrario di molti suoi fratelli che credevano solo alle forze della natura come potenze impersonali e implacabili di cui servirsi attraverso le arti magiche e la scienza dei saggi, egli credeva che queste forze non fossero per niente impersonali, ma venissero dagli Dei. Più volte li aveva visti e non solo nei suoi sogni. A caccia spesso aveva scorto una fanciulla leggiadra con arco e faretra ed era rimasto così travolto dalla sua bellezza soprannaturale e dalla potenza che emanava dalla sua figura da restare sconvolto. Altre volte il Dio dei boschi l’aveva sorpreso ad oziare nel profondo della foresta destandolo di soprassalto, il suo aspetto era fiero e il suo sguardo profondo ed enigmatico e spesso gli incuteva un timore incontrollabile, ma a poco a poco si era abituato alla presenza del Dio Bicorne… Molte erano state le sue visioni e molta la sua fede. Quelli erano gli Dei che invocavano gli stregoni, la casta sacerdotale che gli elfi detestavano. Non era per loro pensare di avere intermediari con la “Natura”, fosse essa un insieme di Dei o di forze, e in parte anche lui la pensava in questo modo.

Levò lo sguardo e pensò alla Dea dell’Oscurità, Notte senza Luna: “Ti prego indicami la via verso di Lei e proteggimi con il tuo manto”.

Sussurrò le parole con una tale intensità che immediatamente sentì dentro di se nuova forza, una forza che sembrava prenderlo per mano e condurlo senza esitazioni verso una grossa casa a due piani. Entrò all’interno di un giardino ben curato e capì che si trattava della casa del capo villaggio: all’entrata principale sostavano due guardie, ma non lo scorsero, la Dea dell’Oscurità lo proteggeva. Raggiunse una finestra sul retro e vi si affacciò, non riusciva a vedere molto, ma riuscì a intuire che quella fosse la cucina e che la stanza a fianco doveva essere il salone. Le stanze stavano al piano di sopra. Pronunciò alcune parole e cominciò a levitare fino alla finestra superiore. Era un incantesimo che aveva imparato da bambino e che non durava molto, tuttavia gli era stato comodo più di una volta.

Lei era là, coricata nel suo giaciglio, nella stanza c’era solo lei e un profondo silenzio. Entrò dalla finestra aperta e si portò a fianco al letto; nel guardare il suo volto addormentato pensò ancora una volta a quanto era bella…

Doveva agire in fretta… Thalathas le mise una mano sulla bocca per non farla urlare e le bloccò le braccia con uno scatto. Lei si svegliò di soprassalto e lui le sussurrò subito all’orecchio: “Ti prego adesso ti lascio andare sono io, l’elfo che hai incontrato nel bosco dopo la battaglia… non gridare, non voglio farti del male”

“Ma tu sei pazzo” disse lei con un sibilo una volta che poté parlare “Che ci fa qui?”
“Non posso più stare senza di te, sono stupido lo so, ma… ti prego, vieni via con me”
Gli occhi di lei rimasero impietriti a quelle parole, poi finalmente parlò:
"...ma neppure conosci il mio nome!"
"Io sono Thalanthas" disse lui "Tu come ti chiami?"
"Talisia la figlia del Capo del villaggio, come avrai capito, e guerriera maestra di spada"

Lui si fecero vicino e la baciò, fu un bacio breve, ma tremendamente intenso, il tempo non giocava a loro favore.

"Che vita faremo Thalanthas? Le nostre razze si odiano e i nostri villaggi sono in guerra da anni, non possiamo sposarci, non saremo mai accettati, il tuo popolo e il mio ci separeranno e io sono pure la figlia di Colui che deve dare l'esempio!"
"Non mi importa" replico lui prontamente "senza di te io morirò, lo so, e tu in ogni modo non vivrai senza di me..."

Talisia si alzò, lo baciò ancora una volta poi indossò i suoi calzari e il mantello e prese la sua spada.

"Ma dove andremo..." Mormorò lei con un tono che rasentava la disperazione.
"L'unica nostra possibilità sono gli stregoni, essi accetteranno fra loro due elfi e ci uniranno in matrimonio, sono interessati alla nostra magia e sono un clan che in queste terre ancora impervie è rispettata da tutte le razze, gli elfi non oseranno sfidarli apertamente, ma saremo comunque in pericolo... saremo considerati traditori due volte e lo sai che i nostri popoli non dimenticano!"
"Lo so bene... andiamo"

I due elfi si strinsero per mano poi scivolarono fuori della finestra e si diedero ai boschi veloci come il vento.

Quella notte se fossero passati alla fonte, dove Talisia era solita recarsi da bambina, avrebbero visto una bianca Signora stagliarsi nella notte col viso cupo rivolto al cielo. Mentre correva Talisia si chiedeva che cosa sarebbe accaduto...

L'indomani si presentarono entrambi al Grande Stregone, nella sua dimora, un albero al centro di una piccola radura. Aspettarono lì tre giorni e tre notti, dormendo uno a fianco all'altro, incuranti delle scomodità e dell'attesa, avevano due vite da raccontare e sapevano di non correre ancora pericoli. Gli elfi sono gente solitaria e indipendente per natura e le loro famiglie ci avrebbero messo un po' per realizzare la loro assenza.

Alla terza notte d’attesa al sorgere della prima falce di Luna, Rabal, il Grande Stregone, un umano che aveva circa duecento anni, (una vita straordinaria per un essere umano, meno per loro due, gli elfi hanno una vita media di 1200 anni e Thalanthas e Talisia ne avevano poco più di quattrocento...) che si presentò loro apparendo dall'interno dell'albero come se le stesse foglie e la stessa corteccia gli dessero forma.

"Parlate, che cosa volete!" si rivolse a loro con voce tonante.
Fu Thalanthas a rispondere. "Non lo sai forse già Grande Maestro?"
"Avete pensato bene a quello che fate?"
"Si abbiamo deciso!" rispose Talisia ancora meravigliata da quell'apparizione "accoglieteci con voi e uniteci in vincolo sacro!"
"Se questo è il vostro volere così sia, sarete i primi elfi ad avere l'onore e l'onere di diventare nostri fratelli!"
"Lo sappiamo, abbiamo molto da imparare, ma anche molto da dare" disse Thalanthas.

Il Grande Stregone tacque, la sua figura era imponente, nonostante l'età e trasudava una sapienza che si tramandava da generazioni immemorabili in quelle terre lontane dalle popolazioni civilizzate dell’ovest, di nuovo lo videro confondersi nel legno dell'albero e scomparire.

Poco dopo sentirono un soffio di vento e apparve dietro di loro un essere altissimo, aveva la carnagione rossa ed era coperto solo di un perizoma, era un demone, e non capitava spesso di vederne.

"Vi prego di seguirmi, devo portarvi in un luogo sicuro, sarete iniziati al sorgere della Luna piena. Io vi addestrerò nei giorni che rimangono, non sarà per voi un addestramento difficile, la vostra razza ha la magia che ancora scorre nelle vene."

Non era facile vedere dei Draghi lì, erano sorpresissimi di vederne uno, salirono con titubanza sulla grande sella poggiata sulla sua groppa poi presero il volo. Il Drago li condusse all'interno del dirupo dove si sapeva vivevano i demoni ed entrarono all'interno di una grotta:
"Questa è la mia abitazione" disse il demone che faceva loro da guida "Qui sarete al sicuro, nessuno del mio popolo oserà farvi del male, non temete e per quanto potete sentitevi come a casa."

Passarono tredici giorni e fu il tempo della Luna piena. L'allenamento cui si sottoposero non fu duro, un umano spesso impiegava anni a raggiungere capacità che per loro erano naturali da sempre; il demone, Bansegoth si chiamava, fu un ottimo ed attento insegnante.

Naturalmente la loro assenza fu notata e cominciarono le loro ricerche nei rispettivi villaggi finché alcuni cominciarono a sospettare la loro fuga e infine divenne palese tutto l'accaduto, ma nessuno osava neppure sussurrarlo, un elfo alto unito ad un elfo oscuro, un abominio! A nessuno venne in mente di cercarli nelle profondità del dirupo, in primis perché la razza dei demoni non gradiva intrusioni nelle loro tribù, in secondo luogo perché non si immaginavano che un demone potesse aiutare due elfi nella fuga.

Nel giorno stabilito la Dea, la Triforme, e il Consorte, il Divino spirito delle selve, benedissero le loro sacre nozze e la loro iniziazione. Fu un gran giorno, persino il Grande stregone sorrise quando Talisia e Thalanthas si scambiarono le corone di mirto in segno d’eterna unione. La voce delle loro nozze si sparse subito, appena i due elfi iniziarono la
loro opera tra i villaggi umani e delle altre razze presenti in quelle terre, fatta eccezione per gli elfi ovviamente, tutti furono meravigliati e ancor più meravigliato fu chi li vide all'opera.

Talisia e Thalanthas conoscevano l'arte della guarigione con tecniche sconosciute agli stregoni e l'uso di misture d'erbe per alleviare un sacco di mali che il loro popolo custodiva segretamente. Parlavano, come tutti gli elfi, il linguaggio degli animali e il loro istinto era sviluppatissimo. Grazie a loro tutti gli sciamani crebbero in rispetto e potere, mentre loro
impararono l'uso delle forze della natura e del potere degli Dei che fino ad allora gli era stato pressoché sconosciuto.

I popoli elfici erano furiosi, già il matrimonio di due elfi appartenenti a razze diverse e in lotta aveva suscitato grande turbamento, ma in più avevano rivelato segreti delle arti elfiche agli stregoni, i due traditori. Tuttavia erano intoccabili, godevano la protezione del clan sacerdotale unico e rispettato presso tutte le altre razze, non potevano rischiare di inimicarsi tutti i popoli di quelle terre.

Passarono tre anni; Talisia aspettava il loro primo figlio e stava per darlo alla luce, un figlio che sarebbe cresciuto tra gli stregoni per essere stregone esso stesso.

Thalanthas era al colmo della gioia e il loro amore sembrava non dovesse finire mai. Ma questa volta gli elfi alti e quelli oscuri erano decisi a punirli, non avrebbero mai potuto permettere che un figlio di sangue misto nascesse e per di più tra gli stregoni… era un affronto inaccettabile. Ma Thalanthas e Talisia non solo erano ormai potenti stregoni, ma godevano della protezione del potente Bansegoth e del Grande Maestro in persona.

Talisia diede alla luce un bellissimo bambino che fu accolto con gran gioia da tutti gli stregoni, persino la vampira Lenora, una strega schiva quanto altera e potente lo volle tenere tra le braccia.

La leggenda non tramanda il nome del bambino, esso viene indicato come “Poilinium” che nell’antica lingua degli elfi significava “Il figlio dei popoli”.

Ma gli elfi erano in agguato, i due capi tribù avevano stretto un patto segreto per eliminarli, da tempo il padre di Talisia l’aveva rinnegata, quindi furono scelti cinque guerrieri tra i più valenti per ciascuna tribù che conoscessero anche bene l’arte della magia elfica. Inoltre attraverso promesse e lusinghe, gli elfi riuscirono persino a corrompere uno stregone, si chiamava Kadran e la sua razza non ci è nota.

Fu durante il secondo novilunio dopo la nascita del piccolo che Talisia e Thalanthas vennero assaliti. Grazie a Thalanthas che riuscirono a trovare una temporanea via di fuga e a non farsi cogliere di sorpresa, egli attraverso il suo potere che gli permetteva di tanto in tanto di sollevare la coltre che cela gli eventi futuri, ebbe il fortissimo presentimento che dei nemici stavano arrivando. Cercò di chiedere aiuto telepaticamente, ma non ci riuscì, Kadran e gli altri elfi avevano prodotto una barriera mentale grazie al favore dell’oscurità totale che impediva a Thalanthas di inviare messaggi telepatici, sarebbe stato così fino all’alba.

Thalanthas prese con se Talisia e il bambino, per quanto loro due fossero potenti non potevano affrontare direttamente gli elfi e lo stregone e Talisia era ancora assai debole. L’unica via di fuga era verso i monti delle nebbie, praticamente un vicolo cieco, non potevano neanche raggiungere le case degli umani la strada che vi portava era agevole, ma anche scoperta e in vista. Corsero nella notte braccati come animali mentre i guerrieri a cerchio si stringevano su di loro finché non rimasero chiusi davanti ad una parete di roccia che era impossibile scalare.

Ma Thalanthas non si perse d’animo, sulla terra tracciò un simbolo arcano poi pronuncio un’invocazione. Non si sa quale dio o quale dea invocò, non sappiamo che cosa diede in cambio Thalanthas, se la vita sua e di Talisia oppure se promise di consacrare il bambino al dio invocato, ma una voce tuonò nella notte: “Tuo figlio sarà salvo!”

Thalanthas era molto provato dallo sforzo dell’evocazione, alle sue spalle nella roccia una potente magia cominciò ad aprire numerose caverne e cunicoli.

“Entra! Nascondi il bambino…” urlò a Talisia
“Non posso lasciarti solo” disse Talisia soffocata dalle lacrime.
“Entra amore mio ti prego, salva ciò che c’è stato donato, io sarò sempre con te anche nella morte.

Talisia dopo averlo baciato tra i singhiozzi entrò. Thalanthas resistette a lungo agli assalti di Kadran e degli elfi, ma alla fine una freccia magica gli trapasso il cuore. Cadde a terra senza un lamento e, guardando per l’ultima volta le stelle, gli Dei lo presero a se.

Talisia aveva da tempo nascosto il bambino, avrebbe voluto proteggerlo, ma si rese conto che l’unico modo era uscire allo scoperto e affrontarli fuori dalle caverne, uscì sentendo il cuore di Thalanthas che stava per spegnersi, quando vide il corpo del suo amato riverso a terra in un solo gesto della mano la sua furia incenerì due elfi, il suo grido di dolore fu straziante e terribile e quando il vento soffia all’ingresso delle caverne sembra ancora che ci porti il suo eco.

Altri quattro guerrieri giacevano morti al suolo, erano stati travolti dalla potenza dell’elfo. Ne restavano ancora altri quattro e lo stregone, non ce l’avrebbe mai fatta, pensava, e anche se suo figlio era nascosto nei meandri della caverna, temeva che con la magia sarebbero riusciti a trovarlo, doveva resistere fino all’alba: solo allora la barriera telepatica si sarebbe dissolta e avrebbe potuto chiamare aiuto. Ma quattro guerrieri riuscirono a tenerla impegnata mentre Kadran scivolava nella caverna, Talisia era disperata, ma non poteva muoversi, lottò con tutta la sua disperazione contro gli elfi, finché il primo raggio di sole illuminò l’entrata della caverne. Prima di cadere a terra con la forza che le rimaneva chiamò aiuto.

Gli elfi stavano per entrare a vedere come mai Kadran non era ancora uscito col cadavere del bambino, la guerriera che era ormai in fin di vita ancora piangeva, avvertiva però il cuoricino del suo bimbo che ancora batteva, segno che non l’avevano trovato e mentre pensava a questo sentì che delle mani le sollevavano il capo.

“Che ti hanno fatto…” poi vide le caverne “Thalanthas ha agito bene!”
“Salva mio figlio, ti prego” disse lei con la voce spezzata.

Il Grande Stregone sbucò fuori dietro alle spalle del demone, sorrise alla guerriera e le poso una mano sulla fronte stremata e le sussurrò dolcemente.

“Una potente magia protegge il bimbo, la si sente qui tutta intorno, Kadran non riesce a trovarlo… il tuo bimbo è vivo e sarà salvo… adesso riposa figlia mia, sei una valorosa guerriera e ancor più una valorosa strega, tu e Thalanthas sarete sempre parte di noi, ne siamo onorati” Talisia guardò il suo volto sereno, poi sorrise chiuse gli occhi e le sue sofferenze finirono.

Bansegoth e il Grande Stregone entrarono nella caverna e non ci volle molto per trovare gli elfi che nel frattempo si erano separati. Rabal li tramortì tutti e quattro, liane uscirono dalle pareti e gli elfi finirono a testa in giù. Infine senza profferir parola tagliò loro le vene ai polsi e lasciò che il loro sangue bagnasse il suolo fino alla loro morte, ancora oggi si dice che la cassitertite, una pietra abbastanza comune nelle caverne, sia il sangue di quegli assassini pietrificato.

Poi fu la volta di Kadran che era preso nell’affannosa e disperata ricerca del piccolo elfo che non riusciva a trovare malgrado i suoi sforzi. Quando vide Bansegoth apparirgli davanti un urlo soffocò tra le sue labbra, subito il demone gli si gettò addosso come una belva, immediatamente gli strappò gli occhi e li gettò contro la roccia, essi si trasformarono nel cristallo di Anatasio che ancora oggi alcuni chiamano Occhio di Kadran.

“Come hai osato Kadran!” disse Rabal.

Lo stregone traditore ancora gemeva per il dolore mentre Bansegoth lo teneva tra le mani come un fantoccio, il suo volto accecato era rigato di sangue.

“Sei uno sciagurato e verrai punito come meriti”.

Il Grande Stregone guardò Bansegoth e lui subito trascinò Kandran nei meandri della caverna. Non si sa come morì, i demoni conoscono mille sofferenze da infliggere e tutto ci fa pensare che Bansegoth non si risparmiò, c'è un luogo perso nell'oscurità delle caverne dove sembra di udire dei gemiti di dolore, qualcuno afferma che lo spirito di Kandran sia stato intrappolato dal demone nella roccia, in un eterno supplizio.

Il Grande Stregone trovò subito il piccolo, l'incantesimo che doveva averlo protetto dai malvagi si era dissolto, giaceva in quella che sembrava una culla di un minerale violaceo, un ematite purissima. Rabal lo prese tra le braccia e lo portò via.

Le due tribù di elfi vennero severamente punite, gli stregoni riuniti in concilio lanciarono contro di loro un tremendo anatema, era in gioco il prestigio di tutto il clan che i due popoli avevano sfidato. In poco più di un anno gli elfi alti e quelli oscuri furono decimati da tremende malattie. Ogni guerra finì ed in ultimo l'orgoglio degli elfi venne definitivamente piegato essi chiesero l'aiuto degli stregoni che non esitarono a togliere il maleficio a patto che anche gli elfi riconoscessero l'autorità del loro clan. Naturalmente accettarono, ma si sa che gli elfi sono un popolo strano e settario e proprio loro sembra che incoraggiarono la divisione degli stregoni in una moltitudine di altre classi: maghi, streghe, sciamani, druidi, sacerdoti, sotto l'influenza delle correnti religiose che arrivavano dalle lontane città in cui tutto ciò era già avvenuto da tempo.

Il figlio degli elfi fu condotto al di là dei monti delle nebbie e affidato ad una famiglia di elfi silvani, nulla si sa più di lui, non si sa se sia ritornato nella sua terra di origine, ma se è sopravvissuto alle varie guerre e alle carestie che hanno animato gli ultimi quattro secoli della vita del territorio dove ora sorge la rocca di Lot, potrebbe essere un valente guerriero o forse un mago.

Non è possibile stabilire quanto di vero ci sia in questa leggenda, ci rimangono le caverne ai piedi dei monti e le rocce che là si trovano. La magia là dentro è ancora così forte che neppure Honoris è riuscito ad annetterle al suo regno.

Là riposano Thalanthas e Talisia, non è certo in quale anfratto, ma c'è un punto nella caverna dove si ammassa un'enorme quantità di rose di Lot, come una lapide, qualcuno vocifera che quei fiori di pietra siano l'omaggio delle caverne al loro amore.