Punti di vista
Camminiamo, un passo dopo l’altro, ogni giorno. Sentiamo
l’urto del legno o del cuoio contro la zolla dura
e compatta del’inverno, avvertiamo il fruscio della
morbida tomaia che piega ma non spezza i primi steli della
lunga e fragile verzura di primavera.
Distinguiamo ogni filo d’erba, ogni fiore. Sentiamo
sulla punta delle dita un singolo petalo, diverso e uguale
al suo vicino.
Poi la strada s’inerpica e il passo s’accorcia,
il fiato anche. Una piccola svolta del sentiero ci porterà
più in alto, ma ora ci rivela la valle. Quanto sono
piccole le cose, è impensabile pensare che un prato
spossa essere scomposto. È solo una distesa compatta,
una superficie dello stesso colore, la tessera spaiata di
un mosaico irregolare.
Attutiti ci giungono i suoni dell’operosa valle. Il
fragore del mulino è un rombo soffuso e lontano,
lo stridore dei carri un frinire lieve.
Saliamo.
L’aria taglia i polmoni, le gambe recitano una cantilena
dolorosa. La mente prende a vagare più leggera, i
pensieri sbocciano e si dissolvono in un sole più
forte.
Le parole non ci seguono, rimangono a pascolare sulle prime
balze del monte, non possono respirare questa brezza di
ghiaccio e fuoco.
Una caligine sottile vela le case e i palazzi. La Rocca
protende tra il cotone delle basse nubi le sue dita merlate,
i Giardini riposano nell’oblio di una coltre senza
colore.
Da quassù non si percepiscono divisioni. Il Granducato
giace stendendo le lunghe membra nell’incerto sole
del mese breve.
Qui non giunge l’urlo secco dell’osso spezzato,
né si ode la risacca torbida delle menzogne. Se una
testa venisse, laggiù, spiccata dal corpo, nessuna
eco giungerebbe al nostro orecchio attento.
Se lo stesso sguardo riservassimo agli eventi, la distanza
porterebbe con sé questa quiete.
E da lontano, respirando piano, sentiremmo solo il sommesso
rumore del tempo.