I Luoghi della Vecchia Lot - Il Pozzo del Disonore |
Si narra, solitamente ai bambini,
affinché possa funger loro da esempio, che il giorno
in cui le porte di Telthartown si aprirono, per permettere
alla colonna a seguito del Granduca di uscire per dirigersi
verso le terre alle pendici dei Monti delle Nebbie, non
fu solo la Storia di Lot ad avere inizio.
Quel giorno, infatti, tra la folla, vi erano anche due giovani
Umani, un ragazzo ed una ragazza: Corlhir e Gwanny, questi
i loro nomi.
Durante i lunghi giorni di viaggio, scortati dai Soldati
agli ordini dei Capitani Petrus e Thorm, i due giovani ebbero
modo di conoscersi e tra loro nacque un forte sentimento
d’amore, istintivo e puro, come solo la più
grande tra le gioie può essere.
Trascorsero le stagioni e la nuova Città di Lot iniziava
ad essere edificata.
Alti gli edifici si levavano dove prima v’era solo
la brulla terra ed inospitali rocce.
Di pari passo, anche l’amore tra Corlhir e Gwanny
aumentava costantemente d’intensità.
Purtroppo però il tenero sentimento nato tra i due
incontrava un grosso ostacolo nella salute di lei: Gwanny,
infatti, soffriva di una strana malattia che non le permetteva
di respirare al meglio quando era molto affaticata. I genitori
della ragazza, preoccupati dal fatto che Corlhir la portava
sempre a fare lunghe passeggiate, mettendo spesso a rischio
la sua cagionevole salute, si rivolsero ai genitori del
ragazzo e, di comune accordo, decisero che i due non avrebbero
più dovuto frequentarsi.
Il dolore per entrambi fu grande, lunghe e lente trascorrevano
le ore durante le quali Corlhir e Gwanny non potevano più
vedersi.
Corlhir, al quale Gwanny aveva sempre tenuta nascosta la
propria malattia, venuto a sapere del suo problema, si ripromise
che un giorno sarebbe riuscito ad acquistare le costose
erbe medicamentose che avrebbero permesso alla sua amata
di guarire.
Tuttavia, preoccupati per il profondo stato di tristezza
in cui era caduto il figlio, i genitori di Corlhir, al fine
di distrarlo e per evitare che egli riuscisse a trovare
il modo di rivedere Gwanny, fecero in modo che il giovane
fosse arruolato tra le Guardie del Palazzo del Conte Erik,
all’interno della Cittadella che portava il nome del
magnanimo Nobile.
Passarono alcuni mesi durante i quali i due innamorati mai
si videro, entrambi chiusi tra robuste mura di pietra: quelle
maestose del Palazzo Ducale lui, e quelle della povera dimora
dei propri genitori lei.
La Primavera finalmente giunse e, accompagnati dal canto
degli uccellini, dallo sbocciare d’odorosi fiori e
dal risvegliarsi delle meraviglie della natura, insoliti
avvenimenti turbarono la quiete del Palazzo di Erik: piccoli
furti, che mai s’erano verificati prima d’allora,
iniziarono ad essere compiuti nelle stanze del Conte. Giorno
dopo giorno, oggetti di poco valore, come candelabri, piccoli
monili e dipinti vari, svanivano nel nulla e senza spiegazione
alcuna.
Per diversi giorni le Guardie s’occuparono del problema,
senza però riuscire a venirne a capo.
Era la rossa e lieve alba di un giorno qualunque di tarda
Primavera quando un Picchiere, tornando dalla sua ronda,
notò una figura sospetta uscire da una delle porte
laterali del Palazzo di Erik.
Egli, senza esitare un istante, subito intervenne, bloccando
il sospetto Ladro in fragranza di reato.
La colluttazione richiamò altre Guardie che, subito,
riconobbero Corlhir.
Il ragazzo aveva ancora nella sua sacca di pelle un bracciale
che apparteneva ai tesori del Conte.
Il giovane, affranto, fu a lungo interrogato dai suoi superiori,
ma mai rivelò né il luogo ove aveva nascosto
gli oggetti rubati in quelle settimane, né il motivo
che l’aveva spinto a commettere quelle disdicevoli
azioni.
Fu così che Corlhir venne rinchiuso in una cella,
in attesa che il Boia eseguisse i suoi doveri.
L’Estate avanzava lenta e rovente.
In solitudine, tra le ombre del giardino, il Conte Erik
era solito trovare un poco di ristoro.
Fu durante una di queste passeggiate, tra le ultime macchie
di verde erba e gli alti alberi sempreverdi, che egli udì
dei tristi e nostalgici lamenti provenire dalle celle nelle
Segrete di Palazzo. Incuriosito, Erik ordinò che
il ragazzo che ininterrottamente piangeva nella sua cella,
fosse condotto al suo cospetto.
Le nubi stranamente velarono il cielo nel momento in cui
Corlhir fu portato davanti al Conte.
Ormai scavate erano le orbite dei suoi occhi, rigate dalle
lacrime le sue scarne guance e deperito il suo intero corpo.
Il giovane non trovava il coraggio di levare il suo spento
sguardo sull’imponente figura del Nobile. Fu così
che Erik, mosso a compassione, si chinò accanto a
Corlhir e, con ferme ma gentili parole, lo convinse a narrargli
la sua storia.
Tutti i presenti rimasero basiti in silenzio ad ascoltare
e, mentre due usignoli s’adagiavano sul marmo di una
finestra, quasi ad esser spettatori della scena, Corlhir
prese lentamente a parlare.
Il suo capo era sempre chino e la sua schiena era incurvata,
a causa della postura che a lungo egli aveva assunto nella
sua cella, piangendo il suo amore perduto.
Con parole confuse e a volte contraddittorie, Corlhir narrò
le ultime stagioni della sua vita al Conte, passando dal
verde delle gioiose passeggiate, al rosso dell’amore
che lo legava a Gwanny, al grigio della sua prigionia.
Egli, dopo essere riuscito a trovare il coraggio di guardarlo
negli occhi, raccontò ad Erik anche il motivo che
l’aveva spinto a rubare tra le nobiliari stanze: raccogliere
la somma necessaria ad acquistare le erbe medicinali che
avrebbero permesso a Gwanny di guarire, e che avrebbero
consentito a Corlhir stesso di migliorare i rapporti che
aveva con i genitori della sua amata, per poi poterli convincere
a concedergliela in sposa.
Erik rimase silente per lunghi istanti, durante i quali
parve che il tempo avesse arrestato il suo costante incedere.
Improvvisamente, l’augusta figura si levò fiera
ed, avvicinandosi alla luce di un raggio di sole che, prepotente,
aveva sfidato le nubi, trapassandole, pronunciò lente
ma decise parole.
Nella sua magnanimità, il Conte decise di far dono
a Corlhir degli oggetti che gli erano stati sottratti, affinché
potesse acquistare le cure per la sua amata.
Ma, al tempo stesso, deciso ad evitare che simili episodi
potessero ripetersi, espulse Corlhir con disonore dal Corpo
delle sue Guardie e fece incidere su una lastra di marmo
le seguenti parole:
“In ricordo d’un amore triste, d’un tradimento
e d’un venir meno alla fedeltà dovuta.
Che sia monito ai posteri il ricordo di cupi furti, di magnanimità
e di perdita dell’onore”
Per volere del Conte Erik, la piccola lastra di marmo fu
posta ai piedi del luogo ove il giovane Corlhir aveva nascosto,
in attesa di raccogliere la necessaria somma, il frutto
dei suoi furti: un piccolo pozzo poco distante dal nobiliare
Palazzo, all’interno della Cittadella di Erik.
Il pozzo, costruito poco dopo l’arrivo in quelle terre
della colonna di speranzosi proveniente da Telthartown,
era da lungo tempo ormai in disuso, e nessuno faceva più
caso alla sua esistenza.
Da quel giorno, quel luogo fu da tutti appellato con il
nome di “Pozzo del Disonore”.
Poco tempo dopo, l’edera ricoprì il marmoreo
ricordo di questa novella, sino a rovinare per sempre l’incisione
che vi era posta. Ancora oggi, gli anziani si chiedono se
il ricordo di quei giorni sia reale, o solo frutto di storie
narrate, così come loro le narrano, mutate dal tempo,
per non dimenticare.