Il
mio nome è Glenyller Avelerg Morgan.
Ma non fui sempre chiamato così.
Ebbi coscienza della durezza e della crudeltà
della vita assai presto.
I miei primi passi, su questa Terra, non furono certo lieti,
solari, viziati quanto dovrebbero esserlo quelli di un bimbo.
Non furono certo sinonimo di spensieratezza.
Ancora adesso ricordo con invidia i fanciulleschi giochi,
le ingenue corse dei miei coetanei del tempo, quando, stremato
nel cuore e nel fisico, li osservavo dal granaio in cui
lavoravo, o dalla fucina dei fabbri del mio villaggio.
La mia famiglia era da sempre stata ricca di componenti
... e di debiti.
Nacqui per un unico scopo: un paio di braccia
in più.
Mi diedero il nome di Cruhel, decimo figlio
di Ruha e del corpulento Homolka, da sempre avvezzo alla
bisca ed al nettare di malto.
Il sostegno, mio e dei miei fratelli, saldò gran
parte delle pretese dei padroni, ma non fu mai abbastanza.
Costretto nel compito più ingrato che la sorte potesse
serbare ad un fanciullo, chinai la schiena e piegai il cuore
al volere di chi si fingeva attento curatore della mia crescita.
Ma l’inconfortabile pianto che sfogavo
ogni notte nasceva da ferite più acute della dura,
sebbene banale e sopportabile, fatica fisica ...
Ferite che forzatamente mascheravano la marionetta
in cui ero castigato ...
Desideravo la conoscenza della terra che calcavo, lo studio
dei boschi, dei suoi magici abitanti. Agognavo la lettura,
le Sacre Rune del mio villaggio, inappuntabili omaggi a
Gaia.
Ma avevo mani e cuore legati da lacci che segnavano profondamente.
Dolorosi cappi che la brama nascosta nello spirito non tollerava.
Lo sconforto soffocava ogni mio respiro e sfociava nelle
notti di luna piena in una ferocia che, seppur in giovanissima
età, lasciava segni indelebili nell'animo.
Fui deriso e lasciato in disparte per questo ...
Sentivo il desiderio di liberarmi da una vita di stenti
e privazioni. Da quell'esistenza che l'intolleranza e la
noncuranza di mio padre avevano reso terribile.
Quando non si ha nulla da perdere, la predisposizione
al rischio è una logica conseguenza.
Abbandonai quindi il villaggio natio, senza
scrupoli, senza addii, muovendo le giovani gambe attraverso
le vallate ai piedi dei Colli Ventosi.
Andai avanti fin quando resistetti, poi fui preda dell'oblio.
Non ricordo per quanto tempo rimasi nell'ombra,
ma so che quando il vecchio Nigmagok mi trovò e mi
condusse nelle sue terre non ritornai semplicemente alla
vita ...
Seppur molto giovane, avevo già provato
sulla pelle il sudore e le vergate del servo, e ciò
che venne in seguito spezzò definitivamente le mie
catene.
Non compresi subito per quale arcana ragione
un vecchio e paffuto Nano come Nigmagok ebbe cuore di soccorrere
un giovane Mannaro coperto di cenci e graffi.
Ma le parole del mio nuovo amico mi aprirono
un universo sconosciuto.
Convinto fin da piccolo da infondati avvertimenti
e da false accuse sulla razza dei Nani, dedita più
al culto della roccia e del ferro che della natura, ebbi
ben presto modo di ricredermi.
«Scavano la roccia e raccolgono tesori,
certo» mi raccontò Nigmagok «E da molti
sono biasimati ... ma i Nani non sono tutti uguali. Alcuni
di loro hanno seguito vie diverse ... scelte che portano
alla conoscenza, alla ricerca, allo studio di Themis e della
natura. Alcuni Nani possiedono uno spirito che alimenta
il contatto con l'amata Dea e con la Terra stessa»
mi confessò, con l'immancabile pipa tra le labbra
«Essi seguono l'insegnamento che il ricordo di Finghas,
l'eletto da Themis, ha condotto sino al nostro tempo. Studiano
il cielo e la terra, pregano Themis rendendoLe omaggio con
la fatica e devozione continua ... all'unisono con Folletti
e Gnomi, cantano la gioia di un fiore che sboccia o la catarsi
di una tempesta impetuosa».
Trascorsi molte lune con Nigmagok e la sua
gente, nello sperduto villaggio nei pressi del Fiume delle
Tartarughe.
Il Nano era considerato al pari di un Saggio, un capo ...
ma lungi da lui il voler accettare una qualunque responsabilità.
Nigmagok era semplice e bonario.
Celava nell'animo una vecchia e profonda ferita ... la guerra,
a cui aveva dovuto assistere e che aveva dovuto combattere
quando, mi narrò, le oscure creature forgiate da
Honorius mossero battaglia alle razze di Extremelot.
L'onore, o l'onere, di cui era stato meritevole,
o di cui era stato vittima, ne avevano sancito una silente
posizione di rispetto.
Ma questo non influì mai sulla cordialità
nei miei confronti.
M’istruì come un padre amoroso, accontentò
ogni mia richiesta riguardo la storia e la conoscenza, tramutò
la mia curiosità in certezza.
Ma c'era qualcosa che minacciava il nostro
legame.
La mia natura era inconfutabile e le conseguenze che la
luna aveva su di me rappresentavano un rischio per la gente
del villaggio. Troppe volte ero stato costretto ad addentrarmi
nelle boscaglie più fitte per assecondare, senza
danno, l'istinto, la foga ...
Una sera, prima che l'ora fatale mi rendesse
irrazionale, Nigmagok mi chiamò a sé.
«Non chiedetevi mai perché il Fato ha voluto
far incrociare le nostre strade!» la sua voce era
calda e rassicurante, come sempre «Non trovereste
risposta terrena ... mi sono imbattuto in voi come la formica
s'imbatte nell'Inverno ... inevitabilmente ed operosamente.
La vostra vicinanza è stata più che gradita,
giovane Mannaro ... ma è tempo che voi prendiate
una nuova via!».
Srotolò accuratamente una pergamena
e la distese innanzi a me.
Una mappa dei territori di Extremelot.
M’indicò un punto ben preciso, ad Ovest del
Deserto di El Hamza, ai piedi dei Monti delle Nebbie.
«E' una città grande e fortificata»
mi spiegò, mentre il fumo della sua pipa lo circondava
«Costruita per volere del Principe Theon, fondata
con la fatica del Conte Erik e di coloro le cui gesta echeggiano
ancora nel tempo. I suoi palazzi sono tempi di sapienza.
I suoi boschi e giardini, dimora di quiete e raccoglimento.
Le sue piazze sono sale d’incontri e insegnamento
... il suo nome è Lot!».
Rimasi per qualche istante a mirare il punto
indicato sulla carta.
Non avevo mai messo piede in una città.
L'immagine sfuggiva alla mia mente, troppo abituata alle
foreste, valli, ai minuti villaggi ... mi affascinava!
«Troverete molto di più di quel
che pensate» mi lesse negli occhi il Nano «Genti
d’ogni dove. Mastri saggi che impugnano tomi e lame
... e troverete Mannari, al pari vostro, che vi accoglieranno,
se saprete meritare il loro rispetto».
Gli domandai quale ragione spingesse le anime
delle terre di Extremelot a trovar rifugio tra le mura delle
città. Nigmagok non seppe darmi una risposta definitiva.
«Molti nascono con delle speranze,
delle aspettative ... forse Lot è un modo come un
altro per esaudire tali desideri».
Mi osservò, riflettendo, quasi a mandarmi
un silenzioso avvertimento.
«Ho cercato di impartirvi ciò
che ho avuto la fortuna di conoscere ... ma la totale saggezza
non si raggiunge mai. La costanza, lo studio continuo, sono
i mezzi per alimentarla ininterrottamente ... Lot può
darvi questa opportunità».
Avevo imparato ad avere a cuore la conoscenza
del mio tempo grazie a lui.
Forse perché, chiuso in un passato
d’abnegazione, avevo scoperto con Nigmagok un mondo
nuovo e ricco di sensazione straordinarie.
Sapevo di non poter discutere la volontà
del vecchio.
E, sebbene fosse impossibile nascondere l'emozione della
nuova meta, mi si spezzò il cuore.
«Che la sorte vi sia sempre propizia» fu l'ultimo
saluto del Nano «Che Themis vegli sempre sui vostri
passi. Guadagnate la conoscenza cui aspirate con umiltà
e volontà ... giovane ... Glenyller».
Glenyller!
Fu questo il nome con cui mi chiamò
Nigmagok, frutto dell'unione di due vocaboli della sua lingua.
Il suo ultimo, prezioso, dono.
Gleniyh – Hillar che significa Giovane Apprendista.
Ed era, in effetti, ciò che mi sentivo.
Un allievo, in perenne studio, in continua attesa, con il
desiderio di conoscenza!
Rammento un viaggio irto di difficoltà.
Valli, sentieri tortuosi attraverso valichi e boschi.
Ricordo il deserto, che quasi spense la mia
vita come l'acqua spegne l'arsura.
La vita agiata al cospetto di Nigmagok aveva rallentato
lo spirito di sacrificio a cui ero stato abituato alla nascita.
Fu il pensiero predominante, sadicamente ironico, mentre
la fiamma solare mi bruciava la mente e la sabbia del deserto
piegava le mie gambe quanto steli di deboli boccioli curvano
al soffio del vento.
Sette pleniluni dovetti affrontare, dal villaggio
di Nigmagok alla vista delle alte mura di Lot.
Ebbi acceso alla Città e riconobbi
in essa le parole del vecchio Nano.
Un intreccio di strade e viottoli, un vociare
continuo d’anime d’ogni razza, un'accecante
veduta d’edifici e dimore.
M’incuteva timore e mi seduceva nel contempo. Un groviglio
di sensazioni incontrollabili ed inspiegabili.
Ma nel momento stesso in cui l'orma marcò il suolo
della Cittadella, l'occhio non seppe che donarmi visione
di ciò che avevo cercato dalla torbida e così
lontana nascita.
Il mio primo impulso fu di rannicchiarmi
ai piedi di un curvo abete dalle radici sporgenti, in quello
che veniva chiamato il Bosco dei Lupi.
Nella Selva Sacra smascherai un nuovo desiderio, un nuovo
istinto.
La ricerca della serena armonia che vincola Gaia, la Sacra
Terra, e Korlann, la Sacra Madre, a coloro che fomentano
rispetto e gratitudine ad Esse e, con Esse, il silente e
profondo concilio tra le Anime.
Scoprii d'agognare Luce più di quanto non sospettassi
...
Più di quanto l'oscuro e sofferto
passato non ebbe modo di concedermi.
Lì trascorsi i primi tempi, in modo silenzioso, quasi
timoroso, celandomi molte volte alla vista degli astanti
ed ascoltando con curiosità il loro discorsi.
E lì trascorsi il primo plenilunio
di Lot.
Dopo tanto tempo, la vista di creature simili a me, mi consolò.
E sorte volle che durante la notte, la compassione di una
Mannara venisse tramutata nell'amore di una madre.
NASCIA, questo era il suo nome. Mi prese con sé,
teneramente, e mi allevò con dolcezza infinita.
Quanto era lontano il tempo del giovane Cruehl … della
frusta e del disprezzo …
Poche lune sono passate dal mio arrivo in
città.
Ma molte cose sono cambiate. In me ed intorno
a me.
Alysaze ha preso il posto di NASCIA. Diversa nell'aspetto
e nella forma, ed, ironia della sorte, anche nel nome ...
ma non nell'animo e, tanto meno, nell'amore di una madre
verso il figlio.
In un alternarsi d’eventi, ho riscoperto il calore
di una famiglia, l'affetto di una compagna, la certezza
di un futuro acceso.
Il mio stile di vita, i miei atteggiamenti, adeguatisi ad
un luogo che non è né le montagne nella terra
dei Mannari, né il piccolo villaggio di Nigmagok.
Nigmagok ... caro il ricordo che serbo del
mio vecchio precettore, cui lego il mio spirito che mi condusse
a nuova vita, a nuovo nome ... a nuova speranza.
E' a lui che porto riconoscenza per ciò che è
accaduto.
A lui renderò onore, impegnandomi nella ricerca del
nostro tempo, sin quando la Luce che trovo sepolta in me,
accecante diniego all'ombra che segnò la mia gioventù,
mi concederà sostegno, amore e conforto.
Ed ora, la mano della sorte si è prestata
a sorreggermi nel mio intento.
Quando l’aria del Regno s’è fatta torbida
ed angosciante, ho trovato inaspettato, ma a lungo ricercato,
ristoro e rifugio nell’angolo di spazio e tempo in
cui il mio spirito ha sempre desiderato essere.
Anime nuove e solidali ... Somme Maestre Shanty e Myriam,
confratelli ed amici Detentori, sono divenuti la mia casa
... la mia famiglia.
Il mio confronto.
Trovo in Essi spiraglio allo stimolo che
mi afferrava nelle lontane terre, foce di una sorgente che
non ha mai smesso di correre.
Mi hanno concesso convivio e fiducia, ed a loro io tendo
il braccio e la mia grezza arte, la mia volontà e
la mia estrema stima.
Alla Gilda legherò la costanza di ogni mio passo,
affinché i valori ed i principi dell’antico
e Saggio Althair, gli stessi che riconoscevo nel giovane
Cruhel, siano traccia peculiare del mio passaggio su queste
terre.