MITI E LEGGENDE
La leggenda di Sara e Predator

In una sera di primavera noi Detentori dell’Arcana Saggezza, con l’appoggio di Gilde combattenti e mistiche organizzammo una spedizione esplorativa sui Monti delle Nebbie fino alla Gola dei Sussurri dove, durante un combattimento, il Granduca aveva ucciso il Mago Rosso Hotalth, padre di Honorius.

La prima parte della spedizione si svolse senza incidenti e noi potemmo esplorare la Gola, ma sulla via del ritorno venimmo intercettati da una grossa banda di Goblin appoggiata da alcuni gruppi di Orchi.

Lo scontro fu inevitabile ed in poco tempo la disparità di forze a favore dei mercenari di Honorius si fece sentire, costringendoci ad una precipitosa ritirata verso Lot.

La notte senza luna rendeva difficile distinguere gli amici dai nemici e le forze nemiche si erano infiltrate tra noi cercando di tagliarci la via di fuga.

Fui attaccato da un Goblin e, seppur a fatica, riuscii a liberarmene, però ero rimasto in coda al gruppo ed altri due Goblin mi tagliarono la strada impedendomi di ricongiungermi con il gruppo in ritirata.

La Druida ac22 si accorse di quanto mi stava accadendo ed evocò una fitta nebbia che in pochi istanti avvolse la gola riducendo la visibilità a zero.

Approfittando della fitta nebbia riuscii a sfuggire ai due assalitori, ma non a riunirmi ai Lottiani in ritirata.

La gamba sinistra, a causa di una recente ferita, si stava intorpidendo rendendomi difficile camminare, poi un forte colpo alla schiena mi fece perdere l’equilibrio.

Cadendo riuscii a vedere il mio assalitore, un orco armato di ascia e coperto da pelli di lupo.

Cercai di rotolare il più possibile per allontanarmi dall’assalitore, ma lui, ormai certo della vittoria, si accingeva a sferrare il colpo fatale.

Mi spostai velocemente, senza riuscire ad alzarmi e subito dopo mi trovai a scivolare in un piccolo fossato, sempre braccato dall’Orco. Mi volsi verso di lui per cercare di parare il colpo d’ascia, ma mi cadde addosso trafitto da una freccia ed io rimasi momentaneamente bloccato sotto il suo corpo massiccio.

La nebbia avvolgeva ogni cosa, il buio era fitto e sentivo i rumori dello scontro allontanarsi sempre più.

Quando riuscii a liberarmi del corpo dell’Orco mi resi conto che ormai ero solo. Mi chinai sull’orco e notai che era stato ucciso da una freccia del tipo che si usava nella vecchia Lot. Ormai erano anni che non ne vedevo più e mi domandai chi, nel gruppo che si stava ritirando, le aveva conservate per poi usarle in tale occasione.

Sfruttando l’oscurità e i banchi di nebbia che ancora stazionavano nella Gola mi avviai verso Lot, ma dopo pochi istanti mi accorsi che non ero solo ma che gruppi di nemici si aggiravano in cerca di Lottiani dispersi.

Immediatamente mi bloccai cercando con lo sguardo un rifugio; intorno a me sentii brandelli di ordini che si scambiavano Orchi e Goblin impegnati nelle ricerche.

Mentre cercavo il modo di sfuggire alle loro ricerche scorsi davanti a me una figura. Era chiaramente un’umana, vestita con la foggia degli esploratori nella vecchia Lot. Pur non distinguendola chiaramente, vidi che mi faceva cenno di seguirla ed io, decidendo di fidarmi, la seguii.

Lei scivolava silenziosa nella notte, scomparendo a tratti nei residui banchi di nebbia, per poi riapparire ed indicarmi la via. Seguendola non incontrai né Goblin né Orchi, ma alcune volte fui certo di sentire vibrare la corda del suo arco e due volte mi trovai a passare vicino a Goblin uccisi da un preciso colpo di freccia.

Camminammo per oltre due ore, poi giungemmo in una piccola radura completamente circondata da alberi ed alti cespugli. L’esploratrice mi fece cenno di fermarmi e si allontanò nel bosco circostante, ma dopo pochi minuti ritornò, fermandosi in una zona particolarmente buia tra gli alberi.

Io mi ero seduto su un tronco di un albero abbattuto massaggiandomi la gamba sinistra che ormai non reggeva più il mio peso e mi rendeva penoso il cammino.

Guardai l’esploratrice, cercando di scorgere i tratti del suo volto, e mi resi conto che per tutto il tragitto non avevamo scambiato una sola parola.

Ci scrutammo in silenzio, poi lei parlò:

“Io vi conosco Sommo Detentore. Ora potete riposare e dare tregua alla vostra gamba ferita. In questo luogo non correte pericoli”

“So che vorreste pormi mille domande, ma se restate in silenzio io vi racconterò la mia storia ed intanto Voi riprenderete le forze”

Molte interrogativi mi passavano nella mente osservando quell’esploratrice apparsa dal nulla, che si muoveva silenziosa nella notte, ma decisi di tacere ed ascoltare la sua storia.

Mi chiamo Sara insieme a mio marito Predator eravamo i cartografi e gli esploratori del Granducato, fummo noi quelli che incontrarono il Granduca, il Conte Erik e i Capitani Petrus e Thorm nella loro prima spedizione nelle terre di Lot guidandoli fino alla collina su cui poi sorse la città.

Nel Granducato eravamo rispettati e ci venne donata per riconoscenza una casa dove vivevamo e lavoravamo per il benessere e la pace nella città.

Sovente oltrepassavamo i Monti delle Nebbie per riuscire a scorgere territori non ancora descritti o modifiche avvenute a quelli che avevamo già esplorato.

Può sembrare retorica, ma veramente ogni nostro gesto e ogni nostra decisione era presa insieme, tantoché mi stupì una sera tornare a casa e non trovare mio marito ad aspettarmi davanti al fuoco. Quella sera ero tornata un po’ tardi, c’era cattivo tempo e mi soffermai un po’ di più sotto i portici della Piazza del Mercato attendendo che la pioggia diminuisse di intensità.

Sotto una candela c’era una pergamena arrotolata con su scritto: “Perdonatemi mia signora se sono partito senza prima essermi confrontato con voi ma il Granduca aveva urgenza di un rapporto su quelle terre ad ovest dei Monti delle Nebbie che tanto bene conosciamo. Tornerò presto e non temete, Themis veglia su di me.”

Quella non fu la prima volta che mio marito partì da solo, ma fu la prima volta che partì senza avermi salutata. Non sono mai stata superstiziosa, credo nel destino e nel modo che l’uomo ha di scegliere quello che gli accade ma quando finii di leggere la pergamena un lampo di tuono squarciò il cielo e rabbrividii vistosamente.

Tutta la notte fu un continuo dormiveglia, gli incubi si susseguivano uno all’altro, non ero tranquilla, sentivo che quel sottile legame che unisce due persone che si amano si stava rompendo.

Se fossi tornata prima l’avrei almeno salutato, avrei deciso con lui la strada che avrebbe percorso e se avessi saputo la ragione per la quale partiva, forse l’avrei seguito. Anche nelle sue precedenti spedizioni solitarie, sapere quali vie i suoi piedi avrebbe intrapreso mi sollevava un poco dai timori.

Chissà con che cuore lui sarà partito, chissà quante volte avrà aspettato di vedermi entrare dalla soglia della porta prima di dare un ultimo sguardo al focolare dove passavamo intere serate a disegnare, chissà quante volte si sarà voltato indietro per guardare se comparivo all’orizzonte. Chissà come si sarà sentito quando ha attraversato per la prima volta i Monti delle Nebbie senza aver udito da me quel: “Themis vi protegga mio Signore” che ogni volta io gli sussurravo carezzandolo dopo aver rivolto uno sguardo al cielo e un pensiero al fato.

Durante la notte maturai una decisione: dovevo raggiungerlo. Sapevo che andava ad ovest dei Monti delle Nebbie, quei territori li conoscevo bene e non mi spaventavano, benché Honorius non aveva mai smesso di combattere i lottiani.

Non era ancora l’alba ed io ero già in cammino munita di bisaccia da esploratrice, e vestita come si deve essere vestiti quando si attraversa la Gola dei Ghiacci. Camminai per quasi tutto il giorno, il mio passo era rallentato a causa dei giri tortuosi che dovevo compiere per evitare i numerosi Goblin che si aggiravano per i Monti. Si stava facendo tardi e sapevo che inoltrarmi al buio avrebbe messo in serio rischio la mia vita, allora decisi di fermarmi; mi avvicinai ad una piccola spianata, i venti erano riparati da uno spunzone di roccia e mi raccolsi nella pelliccia aspettando di essere colta dal sonno ristoratore.

Ad un certo punto udii delle voci concitate portare a tratti dal vento, una di queste era di Predator. Il cuore mi raggiunse la gola.

Non sapevo cosa stesse succedendo, allora ascoltai.

Un gruppo di Orchi e Goblin assoldati da Honorius avevano catturato il mio Signore; sapevano che era il cartografo di Lot e le informazioni che lui conosceva sarebbero state utili per poter attaccare la città.

Impietrita dal freddo e dalla paura ascoltai i dialoghi, le domande del nemico e i silenzi di mio marito carichi di paura intervallati da sue grida.

Lo stavano torturando.

Pur con il cuore in una morsa di ghiaccio in pochi istanti riuscii ad individuare la provenienza di quelle voci ed allora mi accorsi che tra me e loro correva un grande canalone. Presa dalla disperazione cercai come una furia un luogo dove attraversarlo ma solo dopo tre ore riuscii a raggiungere il luogo dove Predator era prigioniero e subito capii che era troppo tardi.

Lo avevano decapitato e la sua testa era stata gettata con disprezzo non molto lontano da dove mi trovavo.

Una furia cieca mi avvolse ed io ricordo solo che mi alzai in piedi ed iniziai a scoccare frecce, una dopo l’altra su quelle figure intorno al corpo del mio Signore che, colte di sorpresa, iniziarono a cedere a terra trafitte.

Dopo i miei primi colpi messi a segno, i Goblin cercarono di reagire, chi assalendomi, chi scagliando a sua volte frecce.

Il mio furore e la mia voglia di vendetta mi permisero di abbattere gli assalitori e rispondere colpo su colpo agli arcieri. Talvolta fui colpita, ma il mio corpo non mi trasmetteva dolore ed alla fine gli ultimi Gobelin cercarono di fuggire.

Io continuai a scagliare frecce fino a che nella faretra non ne rimasero più ed a terra vi erano i corpi scomposti dei suoi torturatori.

Feci pochi passi, incurante del dolore o se vi fossero altri nemici e presi il capo mozzato di mio marito cullandolo per tutta la notte come avrei fatto con quel bimbo che non abbiamo avuto il tempo di mettere al mondo.

Fu una notte di dolore senza lacrime, di domande, di freddi e pungenti rimorsi. Il mattino dopo ricomposi il corpo e lo sotterrai in quelle terre dure dal freddo esposto però verso l’ingresso della Gola dei Ghiacci in modo che nelle mattine più terse, potesse ancora vedere in lontananza la sua amata Lot.

Da quel giorno il pensiero di come sarebbero potute andare le cose se io fossi stata insieme a lui nel momento che ha preso la decisione di partire non mi ha lasciato neppure un attimo. Se anche io fossi partita con lui forse saremmo morti insieme e la mia vita avrebbe allora avuto un senso.

Mi sono trovata nel giro di poche ore sola e inutile. A Lot non potevo più tornare, il mio posto era lì, dove riposava il corpo martoriato di mio marito. Non potevo lasciarlo da solo un’altra volta.

Mai, neppure per un attimo mi curai delle mie ferite, ma sentii che diventavo sempre più debole ed allora invocai l’aiuto della Dea Themis chiedendole la forza di finire di vendicare la morte del mio amato sposo.

La Dea ascoltò l’invocazione di questa sua fedele e mi apparve una luce, i miei dolori scomparvero, e dentro di me sentii una voce:

“Alzati e vai Sara, porta a compimento la tua vendetta perché l’odio stravolge la tua anima. Non potrai però mai più ritornare qui da Predator fino a che qualcuno che non provi il tuo odio non ricongiunga le due parti del vostro cuore. Raccogli l’amuleto che troverai e, quando sarai sazia di vendetta, cerca chi sia disposto a riportarlo qui ed a incastonarlo nella lapide di pietra che tu hai posto a guardia del sonno del tuo sposo. Solo il possessore dell’amuleto vedrà la sua tomba, mentre essa scomparirà alla vista tua e di chiunque alto passi in questa radura”

Mi svegliai come da un sogno e mi accorsi che non ero più ferita, in mano stringevo un ciondolo a forma di pergamena, il simbolo dei Cartografi di Lot, ma con disperazione mi accorsi che non vedevo più la tomba di Predator.

Decisi però di portare a termine la mia vendetta e di aiutare i cittadini di Lot a liberare queste montagne dalle orde del male agli ordini di Honorius.

Io ero una lottiana, la moglie del cartografo di Lot ma il dolore mi aveva resa dura e senza paura. Per molti anni ho servito Lot con la mia penna insieme a mio marito, ora potevo sempre servire Lot, ma con l’arco e le frecce, non sono mai stata una brava spadaccina.

Presi l’amuleto e me lo misi al collo vicino al ciondolo che Predator mi donò il giorno in cui ci sposammo.

Come vi dissi, oramai il mio compito era quello di salvare i lottiani che dovevano combattere nei Monti delle Nebbie contro i Goblin ma per farlo avevo bisogno di una freccia particolare.

Amici elfi una volta dopo avermi insegnato a tirare con l’arco mi insegnarono a costruire frecce particolarmente leggere che potevano conficcarsi anche nel cuoio più duro. Raccolsi i miei ricordi e mi misi alla ricerca di un albero che con i suoi ramoscelli elastici e sottili mi permettesse la manifattura di queste frecce.

Raccolsi più punte di frecce che potevo trovare, Voi sapete che ai Monti delle Nebbie se ne trovano anche troppe, e durante le mie notti senza sonno le appuntivo come mi avevano insegnato e le applicavo alle asticelle che durante il giorno avevo fatto con il legno di quell’albero. Poi con le piume dei pettirossi che cadevano dagli alberi facevo le alette sì che chiunque avesse trovato un Goblin ucciso con una freccia di colore rosso doveva sapere che ero stata io.

Molte lune hanno cullato le mie notti da allora e Vi giuro Sommo Detentore che la mia mente ha perso il conto dei soldati nemici morti per mia mano. Ogni volta che fendevo il mio arco con la corda ben piantata nella cocca della freccia speravo che quello sarebbe stato l’ultimo Goblin che avrei ucciso e che finalmente avrei anche io meritato un po’ di pace perché ormai sono stanca e vorrei unirmi a Predator.

Il tormento che doveva esserci un senso al fatto che quella sera non tornai a casa e quel senso poteva solo essere che io ora non servivo più al Granduca dentro le mura, ma fuori e che Themis mi aveva tolto la compagnia terrena di mio marito solo per farmi scoprire questo spirito guerriero e ardimentoso, mi hanno dato la forza di non guardare indietro mai e di essere sempre più precisa nella mira.

Vedete, anche il fatto che stasera il fato ha voluto che foste Voi a rimanere indietro non può essere successo per caso! Chissà quanti Vostri amici si chiederanno ora come fare per correre in Vostro soccorso senza sapere che al di la dei Monti delle Nebbie c’è una dama che dopo aver passato anni a uccidere ora vi chiede di aiutarla a ritrovare la pace.

Ora riposate Althair e quando vi sveglierete troverete qui, appeso a questo ramo, l’amuleto che mi donò la Dea, aiutatemi a ricongiungermi con Predator incastrandolo nella pietra che è posta sopra alla sua tomba e che solo quando avrete l’amuleto nelle vostre mani, potrete vedere.

Io riaprii gli occhi stupito di essermi addormentato, volsi lo sguardo intorno a me nella radura e non vidi traccia di Sara. La ferita alla gamba non mi faceva più male e mi accorsi che potevo muoverla senza eccessiva difficoltà.

Ripensai a quanto accaduto nella notte e la mia certezza che non fosse solo un sogno iniziò a vacillare fino che non vidi, appeso ad un ramo ai margini della radura, una catenella con un amuleto.

Stavo per alzarmi ed andare a prenderlo quando giunsero dei rumori di passi e il suono di voci di Orchi.

Rimasi nascosto attendendo che si allontanassero, ma uno di essi vide l’amuleto e lo strappò dal ramo portandolo via.

L’istinto mi diceva di balzare fuori e ingaggiare battaglia per riprendere quel pegno di Sara, ma la ragione mi disse che ciò sarebbe solo servito a farmi uccidere in quanto da solo non potevo sperare di avere ragione di una pattuglia di Orchi pesantemente armati.

Attesi per oltre un’ora, riflettendo su quanto era accaduto quella notte, poi mi alzai e mi avviai verso Lot.

Impiegai due giorni a rientrare in città e, durante il mio avvicinamento trovai, uno dopo l’altro, tutti gli Orchi di quella pattuglia uccisi da un preciso colpo di freccia; una freccia con le alette formate da piume di pettirosso.

Ogni volta cercai l’amuleto, ma nessuno di quegli Orchi ormai lo possedeva ed alla fine fui certo che fosse tornato al collo di Sara insieme al ciondolo di Predator in attesa di un altro cittadino di Lot disponibile ad aiutarla a ricongiungersi con il suo sposo.

Sono passati mesi ed ancora adesso, alla sera salgo alla rocca ed il mio sguardo si posa sui monti delle nebbie avvolti dalla prima oscurità e cerco di immaginare quell’esploratrice che si aggira tra gli alberi in cerca della fine della sua vendetta.

Althair - Sommo Detentore dell'Arcana Saggezza
Myriam - Sommo Detentore dell'Arcana Saggezza