Miti e Leggende
La leggenda dei tre fiumi
Fuori dalla città di Lot, in quelle terre dove i prati, le paludi e gli
acquitrini si avvicendano continuamente e dove gli animali e gli uccelli migratori trovano rifugio e spazi immensi per vivere, scorrono tre
fiumi:
il fiume Nero che nasce poco prima di giungere a bagnare i piedi dei Colli Ventosi e raggiunge il golfo che guarda l'Isola di Kud;
il fiume Bianco che scorre nella Piana delle Acque e che prima di gettarsi nell'Oceano di Extremelot si avvicina alla città di Dierania;
il fiume Azzurro che nasce dai Monti delle nebbie, a noi i più vicini e ricchi di storia; passa dentro la Gola di Pandrias e nella Valle dei
Colli di Mezzo che accoglie la città di Quinalth e giunto alla fine del suo lungo percorso va anch'esso ad alimentare l'Oceano, portando
cibo e sali minerali ai pesci che lo popolano.
Un tempo, mentre il Nero e il Bianco non lo sono mai stati, a causa del loro letto poco profondo, il fiume Azzurro era in parte navigabile e
sia la popolazione di Dierania che quella di Quinalth lo sfruttavano per il trasporto di merci dalle città al mare e viceversa; poi, pochi
anni orsono, le cose son cambiate così come anche la morfologia del territorio è cambiata e testimonianza ci è data dal ritiro delle acque
rispetto alla città di Lot che un tempo viveva anche gli splendori della Marina Militare.
Ero un viandante che percorreva le strade delle terre di Extremelot quando, riposando nelle taverne lungo la via, sentivo raccontare le
avventure e le disavventure dei marinai di Lot; i tanti amici, ma anche le innumerevoli navi nemiche che quelle acque hanno fatto approdare
sulla costa; ancora oggi il mio Sommo Signore Althair, che in quegli anni possedeva una nave, ci narra le vicende che lo hanno segnato e le
non poche difficoltà che lo assoggettarono.
La curiosità mi spingeva a ascoltare le storie che si narravano ai tavoli illuminati da fumose lanterne, di come questi tre fiumi si fossero
formati ed una sera, mentre fuori pioveva a dirotto ed i tuoni sembravano spaccare la terra, ascoltai questa leggenda raccontata ad un
tavolo accanto al mio da un anziano Druido:
Quando Themis era sola nel Suo universo, cioè all'inizio di tutto, amò e poi amò ancora facendo spuntare le piante delle quali noi oggi
vediamo i figli; poi amò ancora e nacque la vita dentro i mari e nell'aria; così, Ella amando, fece in modo di poterci donare tutto ciò che
noi oggi vediamo e che possiamo goderne la positività. Themis è l'amore, la vita, la speranza e tutto ciò che può far crescere l'intelletto
degli esseri viventi, suoi fedeli figli.
Il tempo trascorse e la vita si sparse ovunque. La terra che Themis aveva creato si popolò di tutte le specie di animali e di tante razze di
popoli, giunti anche da lontano attirati dalle voci, che si spargevano ovunque, riguardo la bellezza di questi luoghi e la fertilità della
terra. Il Bene e il Male si mescolarono e quest'ultimo imparò a camuffarsi in modo da non poterlo riconoscere facilmente.
Viveva nelle terre del Nord una famiglia di contadini. I due si erano sposati da poco e si amavano alla follia. Lui era alto, magro bello
come un dio ed intelligente; lei altrettanto bella e di grande simpatia. A prima vista non parevano dei contadini, ma invece sapevano
lavorare la terra con sapienza, facendola rendere ogni anno con ricchi raccolti che, grazie ad un carro trainato da due cavalli,
trasportavano nei mercati vicini per venderlo al prezzo migliore.
C'era una cosa che però rattristava i loro cuori e cioè l'impossibilità di avere figli. Non si sapeva bene il perchè, ma il trascorrere del
tempo rendeva sempre più affranti i loro cuori. Si vedevano invecchiare senza poter vivere la gioia nel crescere un proprio bambino, ma
ancor di più pensavano a come si sarebbero sentiti soli un giorno che le forze gli sarebbero giunte meno e la vecchiaia avesse colorato le
loro ultime stagioni.
Durante la festa di Themis era usanza ritrovarsi e mangiare tutti insieme fuori del Tempio che era stato costruito nel più alto colle. I due
sposi, come sempre avevano fatto, portarono tutto ciò che potevano e lo misero a disposizione degli altri. Quella volta però non mangiarono
ed insieme rimasero a sedere davanti all'altare della Dea. Uno non diceva nulla all'altro, ma entrambi conoscevano l'intime preghiere. I
loro singhiozzi si mescolavano con le grida di coloro che fuori giocavano e mangiavano e più tardi i due sposi, tenendosi per mano, si
allontanarono uscendo da una porta secondaria del tempio.
Quando giunsero fuori e la verde valle gli si aprì immensa davanti ecco un'azzurra luce farsi loro vicina e una fanciulla bellissima apparve
in tutta la sua grazia. I due giovani strinsero ancor di più le loro mani e sbarrarono gli occhi di meraviglia. La fanciulla si avvicinò e
grande fu lo stupore nel vedere che era incinta.
Posò la mano sul ventre della donna e così facendo le donò la gravidanza.
Poi scomparve dentro ad una nube che si era abbassata dal cielo per accoglierla.
Lui guardò la compagna e piansero, ma stavolta di felicità coscienti che a breve avrebbero avuto un figlio.
Da quelle lacrime nacque il fiume Bianco.
Lei, mentre i giorni passavano, aveva sempre più difficoltà per lavorare la terra ed aiutare lui nel raccolto, ma ormai l'inverno era alle
porte e la cosa più importante era fare legna da ardere nel camino durante le fredde giornate e le terribili notti della gelida stagione
che, da queste parti ,non perdona chi trova disarmato.
Il marito partiva al mattino e fino a sera non faceva mai ritorno, affidando lei alle cure di qualche vicina.
Una mattina che ancora il sole riusciva a scaldare la terra la donna si allontanò per una passeggiata. Già da diversi giorni avvertiva nel
ventre il movimento sempre più impetuoso della sua creatura e forti dolori alla schiena.
Giunta ai piedi di un grande albero si sedette ed improvvisamente iniziò il travaglio.
Riuscì ad appoggiarsi alla quercia e cominciò a sentire le contrazioni che si facevano sempre più frequenti. Era troppo lontano da casa
perchè la potessero sentire ed altrettanto distante per poter tornare indietro.
Si fece coraggio ed affrontò la situazione.
Le urla di dolore fecero zittire il canto degli uccelli e nessun animale o volatile osava più muoversi.
Stringeva le zolle di terra frantumandole fra le dita e si mise in bocca un arbusto da poter mordere.
Dopo alcuni minuti si ruppero le acque e iniziò il parto. Non fu uno il bimbo, ma bensì due; il secondo uscì senza troppa difficoltà grazie
all'aiuto che il fratello gli aveva aperto precedentemente.
Fu da quelle acque di madre che nacque il fiume Azzurro.
Passarono gli anni e i due gemelli crebbero con tutto l'amore che i genitori potessero loro donare.
La casa ed i possedimenti del padre aumentarono a vista d'occhio e la fortuna non lo abbandonò mai.
Giunse però il giorno che la forza della vita gli venne meno e morì.
Lo seppellirono in un angolo della fattoria, vicino alla prima pietra che lui aveva posato quando arrivò in quei luoghi. La donna, ormai
anziana, mise tutte le sue ultime speranze, di vedersi morire felice, nella buona volontà dei due figli. Una cosa però non fu trovata e cioè
il testamento del padre e quindi si dovette ricorrere ad un azzeccagarbugli per dividere la dote fra i due ragazzi.
L'amore si trasformò in odio, alimentato anche da chi consigliava uno o l'altro; il bene fraterno fu dimenticato e la madre fu costretta a
fare costruire un alto muro che dividesse le due proprietà.
Ma, come sempre, nessuno dei due era contento di ciò che gli era toccato e bastava che uno durante la stagion buona raccogliesse più frutti
dell'altro da far riaprire vecchie ferite d'orgoglio.
Anche la madre giunse ai suoi ultimi respiri e, in una notte d'inverno, morì. La seppellirono vicino al suo amato, circondati da rose e
tulipani.
Ora i due gemelli erano rimasti soli ed anche la casa doveva essere divisa.
Ricorsero nuovamente all'azzeccagarbugli che impose la sentenza.
Stavano tornando a casa, percorrendo la campagna, discutendo e strattonandosi veemente, quando uno afferrò il coltello per colpire, ma al
momento che la lama fu per entrare nella carne dell'altro egli comprese ciò che stava per compiere e, guardando il fratello negli occhi,
abbassò l'arma e sedutosi cominciò a disperarsi.
Cercò di spiegare quanto fosse assurdo il loro comportamento e che ora, rimasti soli al mondo, avrebbero invece dovuto ricominciare a
costruire su quello che il padre aveva loro donato. Anche il fratello si sedette e ascoltò le parole aprendo il suo cuore. Giurarono in quel
momento che nulla e nessuno li avrebbe portati nuovamente all'odio e che si sarebbero aiutati e compresi fino alla morte.
Distrussero quell'alto muro che divideva le proprietà e da quel giorno ciò che era di uno, apparteneva anche all'altro. Si sposarono e
rimasero entrambi nella casa di famiglia con la rispettiva prole.
Passarono le stagioni e gli anni. La fattoria e la terra avevano assunto un'estensione enorme, tanto grande da far invidia a tutti. Chi
passava sul confine poteva vedere i due fratelli che lavoravano insieme ai contadini e che spesso si rincorrevano scherzando.
L'invidia è una gran brutta bestia e quando invade il cuore, annebbia ogni intelligenza.
Usava allora formare un comitato fra tutti coloro che operavano nelle terre e chi aveva più acri poteva accedere al gran consiglio. Anche i
due fratelli ne erano quindi parte, ma naturalmente mal visti.
Intanto più a nord si erano insediati degli strani eserciti giunti da lontano, orde di barbari, guerrieri, goblin e orchi.
Una notte il gran consiglio si riunì in segreto e fu deciso di mandare qualcuno a parlare con il capo di quell'esercito e, in cambio di
molto oro, chiedere se potessero scendere e distruggere la terra e la fattoria dei due fratelli.
Il messaggero partì, ma non tornò più, forse ucciso da quei barbari oppure azzannato dai lupi della foresta.
Lui non tornò, ma quella gentaglia non si fece attendere. Scese dai monti come farebbe un formicaio stuzzicato dal fumo ed invasero tutta la
valle. Erano vestiti di nero e montavano cavalli tutti neri. Lo scalpitio di questi ultimi si confondeva con il suono che le lame delle
spade emettevano tagliando l'aria prima della testa di ogni contadino, il quale cercava di difendersi con quel che aveva a portata di mano:
falci, forconi e rastrelli. Dove quell'orda passava lasciava morte e distruzione.
I due fratelli si videro perduti e perduto tutto ciò che avevano fino ad allora costruito. Ma quell'esercito giunto ai confini della
fattoria si arrestò, come se qualcosa lo bloccasse. I cavalli si alzavano sulle gambe posteriori e chi tentava di oltrepassare la
staccionata veniva respinto indietro da una forza misteriosa.
I due fratelli compresero che erano sotto la protezione di qualcuno che non voleva la loro morte.
Poco riuscirono a fare quelle truppe malvage se non spazzar via chi li aveva chiamati.
Un fiume di sangue macchiò ogni filo di erba e quando finalmente se ne andarono soddisfatti di ciò che avevano compiuto e dimentichi dei due
fratelli, la valle era un cimitero.
Al mattino, quando i fratelli si destarono ed uscirono per vedere alla luce del giorno ciò che era successo non trovarono più i cadaveri e
il sangue, ma un grande fiume scorreva sul confine della fattoria, un'immensa distesa di acqua chiara e pulita, ma che da allora porta il
nome: fiume Nero.
PadreBrown, Conservatore della Storia Secolare
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