Numero 14 | Anno VI - Mese 7° di Lot |
Althair, come lo ricorda un confratello
Avrei preferito non scrivere mai di questa vicenda, avrei voluto non dover testimoniare con le mie parole un saluto come questo.
Ma un Amico, un fratello, mi ha insegnato che il senso delle cose è spesso nella capacità di chi riesce a lasciare traccia viva, per tutti, di quello che accade.
Nel salutare questo Amico fraterno intendo, con le mie parole ed i miei gesti, fare mio un altro suo insegnamento: "Tutto finisce".
Ma spesso da ciò che finisce germoglia qualcosa di nuovo.
Grazie Althair.
La decisione di Althair
Ero da giorni chiuso in quella stanza la mia tana, la chiamava scherzosamente qualche confratello. Mi ci trovavo bene in quel piccolo studio, collegato da un breve corridoio alla sala centrale della Biblioteca dei Saggi.
Mi rinchiudo lì quando ho bisogno di solitudine, di stare tranquillo, a studiare, leggere, a riflettere su questa o quella vicenda.
Ma ormai era un po che non mettevo il naso fuori da quelle quattro mura. Lodore del legno, della carta e delle pergamene si era confuso allodore di cera profumata delle candele usate anche di giorno, diventando un tuttuno.
Sul grande scrittoio che avevo davanti la solita confusione ordinata, come mi ostinavo a chiamarla; guardai la tazza poggiata sulla mia destra, era vuota vuota come la mia mente in quel momento.
Mi tirai indietro sulla
poltroncina in legno, spingendo il corpo contro lo schienale.
Stiracchiai i muscoli muovendo lentamente il capo. Sinistri
scricchiolii del collo mi ricordarono che letà passa anche
per un Mezzelfo e, sorridendo tra me, mi alzai dirigendomi alla
piccola finestra che dava sulla valle.
Aprii la finestra e subito laria umida e fredda di quella giornata autunnale mi colpì sul volto, risvegliando del tutto i miei sensi semiaddormentati.
Il cielo era sgombro da nubi, dopo giorni di pioggia sul Granducato, sembrava che lAutunno volesse concedere una pausa di bel tempo.
Inspirai a fondo quellaria tersa doveva essere giorno inoltrato ormai. In lontananza i rumori del vivere quotidiano della Cittadella mi giungevano limpidi e chiari: grida di Mercanti, passi ritmati delle ronde militari, versi duccelli che attraversavano rapidi il cielo.
Sollevai lo sguardo, quasi sperando di
vedere lì, stagliarsi in alto, la sagoma inconfondibile di un
vecchio amico.
"Stupido Mezzelfo" mi dissi "Sempre a rincorrere il passato".
Non sapevo che un altro amico mi avrebbe salutato di lì a breve.
Scuotendo il capo mi scostai dalla finestra ed, improvvisa, una forte sensazione di malessere mi pervase. Sbuffai, brontolando distrattamente contro la finestra che stentava a chiudersi sotto i miei gesti nervosi. Ma quella specie di tarlo aveva fatto breccia e sera insinuato nella mia mente; cercai, senza riuscirci, dindividuarne la causa.
"Cielo altissimo" sbottai ad alta voce "Comincio a non sopportare neppure me stesso".
Ridacchiando tra me, come un
vecchio matto, posai sulle spalle il mio grigio mantello ed uscii
dalla stanza.
Attraversando la sala centrale della Biblioteca mi guardai intorno affascinato. Scaffali ricolmi di libri, ripiani coperti da pergamene tutte catalogate, il grande tavolo di legno scuro al centro.
Presto sarebbero stati tre i miei anni di permanenza allinterno della Gilda dei Detentori, ma mai come nellultimo periodo avevamo vissuto un momento così intenso di sviluppo e lavoro. Un lavoro che aveva portato alla ricostruzione di nuovi Capitoli, a capisaldi della Storia lottiana; un impegno costante da parte dogni settore dei Detentori, che aveva dato frutti forse insperati fino a diciotto mesi prima.
Ricordi di giorni, mesi, volti passati
davanti al mio apparente distacco da tutto, sotto la guida sicura
dellUmano Althair.
Un pensiero fugace, unombra repentina piombò sul mio umore già lunatico di suo. Ancora una volta mi accorsi che la parte elfica del mio sangue, quella più sensibile, stava prendendo il sopravvento.
Silenzio che strano silenzio nella "tana" dei Saggi doverano tutti? In genere cera sempre qualcuno a consultare qualche antico testo. Un brivido mi percorse la pelle, sentii i muscoli irrigidirsi. Aria, avevo bisogno daria e mi portai allesterno, richiudendo pesantemente il portone alle mie spalle.
Ero deciso ad andare in Taverna, una buona tazza di the mi avrebbe schiarito le idee e, forse, avrebbe allontanato quella fastidiosa sensazione durgenza che andava crescendo.
Non presi mai quel the, quella mattina.
Mi diressi verso la Cittadella compiendo un largo giro lungo le mura, avevo bisogno di camminare da solo, senza incontrare lottiani, e mi parve quasi di udire una voce conosciuta che mi scherniva nel solito modo burbero.
Camminavo lento, mentre lo sguardo si perdeva nei numerosi campi che circondavano la Cittadella: erano brulli ora, la stagione del raccolto era passata. Mi soffermai quindi sui tanti piccoli boschetti che sinframmezzavano ai campi, appena un momento, ma i colori caldi dellAutunno allietarono la mia vista; il rosso, larancio e loro daceri ed olmi che tanto amavo e che quella stagione ricopriva di sfumature incredibili.
Sul soffio leggero del vento mi
giunse lodore pungente di carbone e foglie secche che
bruciavano, il fabbro era al lavoro. Piegai verso destra,
imboccando un vicoletto che portava ad Est, verso il centro della
Cittadella.
Quella breve passeggiata allaperto cominciava ad avere leffetto sperato e, mentre procedevo guardandomi intorno, Lot si apriva davanti ai miei passi.
Mi sentivo al sicuro tra quelle stradine che conoscevo ormai a memoria, malgrado il Depositario mi consigliasse sempre di portare con me un Difensore non lavrei mai fatto, troppo geloso della mia solitudine. Quasi come un riflesso condizionato, a quei pensieri, la mano si mosse rapida a toccare il mio talismano, quel pugnale elfico donatomi tanti anni prima e che sembrava aver esaurito ormai il suo scopo.
Senza accorgermene ero giunto nei pressi del Tempio, lalta scalinata che portava al Pronao mi sembrò per un momento rappresentare lallegoria della vita di coloro che frequentavano quel luogo, andare avanti, salire inseguendo una speranza.
Quanti fedeli, più o meno
timorosi, avevano calpestato quegli scalini, non li capivo forse,
ma un tempo avevo cercato anchio quel conforto.
Sghignazzando tra me mi dissi: "Si, ma è stato un secolo fa".
Il mio guardare la facciata del Tempio colse un movimento davanti al suo ingresso. Fu così che salii rapido la scalinata. Mi era parso di riconoscere la sagoma che era scomparsa allinterno del sacro luogo.
Attraversai il Pronao come unombra, stretto nel mio mantello, riservando solo unocchiata veloce ai pochi presenti. Non un saluto, non un cenno, colsi solo delle occhiate perplesse che seguivano il mio passaggio.
Entrai nel Tempio quasi soddisfatto, come se avessi saputo fin dallinizio che era quella la meta della mia urgenza; la sensazione, infatti, si attenuò lasciando spazio solo ad un malessere latente.
Scivolando quasi lungo la parete a destra esaminai, stringendo gli occhi, linterno del luogo consacrato alla Dea. Un odore acre ed intenso permeava laria, la Sacra Fiamma stava di certo bruciando qualche composto aromatico, che si spandeva attraverso le tre navate. Volute trasparenti di fumo, come dita lunghe e sottili, accarezzavano i miei sensi.
Ero certo di aver riconosciuto nella
figura intravista allesterno il Sommo Althair. Solo in quel
momento avevo raggiunto tale consapevolezza; mi chiesi cosa ci
facesse Althair da solo al Tempio e mi accorsi, con un po
dimbarazzo, che la mia curiosità era forse fuori luogo.
Ma no, cera qualcosa che non tornava e, ricordando il periodo della ricerca delle Tre Brocche, rimasi con i sensi allerta ad osservare.
Non ero solo, maledissi ancora una volta lo strano effetto che quelle mura provocavano sulle mie agnostiche certezze.
Mi muovevo lento nellombra, celato alla vista delle tante nicchie che ogni angolo del Tempio offriva.
Scorsi Althair era lì che avanzava lento lungo la navata, piegai il capo di lato scrutando le sue mosse. Avvolto nel suo grigio mantello avanzava verso laltare, il passo era deciso come sempre. Che fosse lì solo per pregare?
Avevo incontrato il Sommo qualche giorno prima, avevamo parlato di lavoro come al solito, mi era parso sereno, ma ora quella strana visita mattutina al Tempio mi provocava una sorta dinquietudine che non sapevo spiegarmi.
Seguivo silente i suoi gesti e, sotto i miei occhi increduli, Althair si liberò della borsa dove era solito conservare tutti i suoi appunti da Storico.
Con un gesto che incredibilmente mi parve
di una dolcezza infinita, dopo essersi avvicinato al Braciere,
Althair poggiò tra le fiamme la sua borsa e la guardò ardere.
Per un istante mi chiesi se non fosse di colpo impazzito, lodore di tela bruciata mi colpì le narici. Arricciai il naso con una smorfia.
Ero come paralizzato, fermo ad osservare, mentre la coscienza di quello cui stavo assistendo si faceva largo nella mia mente, seppur tra mille dubbi.
Le fiamme del Braciere si sollevarono alte, la voce calma e musicale del Sommo Althair risuonò nel silenzio del Tempio.
"Mia Signora, il mio cammino è ora nelle Vostre mani".
La realtà di quel che avevo davanti mi si rivelò nella sua spietata crudezza. Ancora una volta ero muto testimone di un addio, scossi il capo cercando di svegliarmi. Doveva essere un sogno, un maledetto sogno, non poteva essere vero.
Nuovamente il riecheggiare delle parole di Althair mi riportò con lattenzione su quello che, evidentemente, non era un sogno.
"Non conosco la mia via. Non so dove mi porterà, ma se Voi mi guiderete, io la affronterò ancora una volta pronto a servirVi".
Stentavo a capire il senso vero di quelle parole, avevo assistito a tante vicende, ma poche mi avevano toccato direttamente in quel modo.
Come un rapido susseguirsi
dimmagini rividi il mio arrivo nel Granducato, Nagual che mi accoglieva tra i Saggi,
lallora Austero Depositario Althair che seguiva il mio
apprendistato ed il mio percorso. Quel rapporto fatto di pochi
saluti e tanti silenzi, quasi come se ci si capisse da sempre.
Althair che diveniva, a dispetto di tutto e di tutti, Sommo
Detentore, ed io ancora lì, al suo fianco, cercando nuovi
stimoli nel lavoro comune. Lapprensione durante le sue
ricerche, lo scoprire di essermi affezionato a quellUmano
così semplicemente fuori dal comune
quanto tempo passato
insieme.
La sua voce allontanò i ricordi, il presente tornò feroce.
Vidi Althair slacciarsi il mantello grigio bordato di bianco, lo vidi piegarlo con cura e riporlo ai piedi dellaltare, mentre diceva rivolto alla Dea: "Mia Signora, presto qualcuno verrà a prenderlo ed a rivendicarne il possesso".
Mi tornarono in mente alcune parole che egli era solito ripetere: "Nulla è eterno". Era questo che mi teneva allora fermo nel mio angolo buio a guardare soltanto, senza cercare di far nulla, senza provare nemmeno a palesarmi, cercando magari di farlo tornare indietro sulla sua decisione.
Conoscevo quelluomo, il rispetto profondo che avevo per lui mi spingeva a non interferire in alcun modo sulla sua scelta, ma al tempo stesso mi teneva attanagliato lì ad osservare in silenzio.
Althair si voltò percorrendo la navata
verso luscita, quasi estraniato da quello che lo
attorniava. Vicino luscita si fermò, inginocchiandosi
ancora alla Dea, poi scomparve alla mia vista allontanandosi dal
Tempio.
Quello che seguii dopo luscita di Althair dal Tempio resta per me come qualcosa dindistinto.
Ricordo che il Senatore Glaudius, vecchio amico di Althair, ritrovò il mantello ai piedi dellaltare. Non mi mossi dallombra che mi nascondeva alla vista dei presenti, con gli occhi lucidi stavo ancora cercando di metabolizzare quello cui avevo assistito.
Ricordo il sopraggiungere del Depositario Shanty e del Consigliere MonicaP, il loro parlottare apprensivo con Glaudius, al riconoscimento del mantello di Althair. Avrei voluto svelare la mia presenza, rivelando quello cui avevo assistito, ma non lo feci. Aspettai che si allontanassero e mi defilai silenzioso.
Uscendo dal Tempio una folata di vento mi sferzò il viso. Non faceva freddo, anche se il cielo si era nel frattempo annuvolato mi accorsi allimprovviso di sentire freddo. Non ero triste avevo solo freddo, tanto freddo.
Danyel,
Consigliere
dellArcana Saggezza