La Principessa Latus, il Druido Saggio Dagar e l’Albero Bianco degli Elfi

Vi racconto una storia, con la passione come protagonista assoluto, che ho potuto vivere grazie all’amicizia che mi lega ai personaggi coinvolti.

Un giorno in Taverna, all’improvviso, accadde un avvenimento stranissimo. Un vortice di gelo entrò ed investì coloro che si stavano cibando, soffermandosi su lady Latus, Principessa degli Elfi Silvani, succhiandone quasi la vita ed ibernandola.

Il Druido Accolito Alkareth, che si trovava in quel luogo insieme al suo confratello ReiUyura, cercò, prima ancora di capire cosa stesse succedendo, di salvare la vita della loro amata Principessa, il cui corpo era in avanzato stato di congelamento.

Accompagnata dai Druidi, Lady Latus fu portata celermente ai Giardini e sistemata sotto l’Albero Bianco degli Elfi, ove le venne ristabilito lentamente il calore nel corpo.

Ma di colpo la splendida Elfa divenne vecchia, rugosa e stanca, ma ancor peggio, perse la memoria.

Subito fu portata presso la rocca dei Druidi e lì sorvegliata dagli stessi, innanzitutto per avere sempre notizie delle sue condizioni di salute, in secondo luogo per riuscire anche minimamente a capire quello che era accaduto.

Il giorno successivo mi giunse, tramite piccione, l’invito a recarmi presso il ritrovo dei Druidi. Subito vi andai e finalmente vidi Lady Latus, visibilmente invecchiata, che camminava a fatica con i meravigliosi capelli incanutiti.

Non mi riconobbe, ma non me ne curai.

Insieme a lei c’erano i Druidi Dagar, Alkareth, Holeone, RinoaAeris, il Lanciere Ski86 e il Cerusico Azema; più tardi sopraggiunsero anche lady Freija e la Regina degli Elfi Silvani Squirrel. Mi scuso se ho tralasciato qualcuno, ma l’apprensione sullo stato di salute di Latus, la tensione e l’energia che si respiravano erano tante e tali che avevo la mente quasi ottemperata.

Tutti parlavano dell’Albero Bianco. Io, Fata, non riuscivo a capire.

Il Druido Saggio Dagar e la Principessa erano impegnati in una conversazione a me sconosciuta; talvolta pensavo che le loro parole fossero rivolte all’intera umanità, altre volte sembrava che l’uno guardasse nel cuore dell’altra.

Non capivo, e tuttora non capisco, quello che è successo, ma la bellezza dei versi delle loro canzoni e la profondità delle parole che si sono detti vale la pena di riportarle.

Latus, ancora priva di memoria, era costantemente pungolata da Dagar, per capire quello che stava succedendo e, ad un tratto, intonò una canzone che narrava così:

<< … Cantavo di foglie, di foglie dorate e sulle foglie l’oro brillava. Cantavo del vento ed il vento incantato tra le fronde e le foglie giocava. Al lume del sole al raggio di luna sul mare brillava la schiuma. Un albero d’oro, ad Ilmarin ermo, su lidi e su spiagge profuma. Al lume di stesse, di sempre-vespro, esso si vedea brillar. Ai piedi delle mura d’Elven Tiriion, rifulgea ad Eldamar. Ivi da anni ed anni crescon le foglie d’oro. Qui sui Mari nemici gli Elfi piangono in coro. Oh Lorien! Giunge l’inverno, l’Ora nuda e spoglia. Il fiume fugge via e trascina con sé la foglia. Oh Lorien! Sulla riva Citeriore troppo tempo ho passato. Sbiadita è la mia corona d’elanor dorato, ma se adesso di navi dovessi cantare, qual nave vedrei arrivare, qual nave potrebbe ormai portarmi al di là del mare? >>.

Poi Latus ricordò di quando, anni prima, si trovava insieme a Dagar in una prigione, lei era ancora Guardia, lui era ancora Precettore.

Dagar rispose alle parole del canto con questa affermazione:

<< Le parole intessute sull’ordito delle antiche mitologie sono gemme preziose sulla bocca dei Bardi, ma sono solo questo. L’ordito su cui sono intessute è la base di tutto. Gli antichi racconti prendono corpo dall’essenza primordiale, come ogni foglia da ogni ramo, e tutti i rami dal corpo principale dell’albero. Un percorso verso l’Abisso delle Stelle, ma con radici profonde che s’insinuano nel grembo della terra traendo nutrimento da essa >>.

Allora Latus, anche per far capire a tutti coloro che non conoscevano la storia dell’Albero Bianco, iniziò a narrarla:

 

<< Il primo Albero Bianco nacque a Tùna, la città degli Elfi. Era il faro d’argento che brillava sui bastioni della più alta torre d’Ingwe.

Gli Elfi amavano Valinor, ma soprattutto l’Albero Bianco; Yavanna all’inizio del “tutto” cantava e tutto il mondo era in silenzio ad ascoltarla e altro suono non si udiva altro che il suo canto. Alle sue note gli alberelli crebbero e divennero belli e alti si coprirono di fiori; e così nacquero al mondo i due alberi di Valinor. Di tutte le cose fatte da Yavanna, sono essi le più rinomate e tutte le narrazioni dei Giorni Antichi s’imperniano sul loro destino.

Uno, che era maschio, aveva foglie verde scuro che sulla faccia inferiore erano come argento lucente e da ciascuno dei suoi innumerevoli fiori spioveva di continuo una rugiada d’argentea luce e il suolo sottostante era maculato dalle ombre delle sue foglie vibranti. L’altro era femmina, le aveva di un verde tenero come quello della betulla gemmata e i loro bordi erano d’oro baluginante. Fiori ne coprivano i rami in grappoli di fiamma gialla, ciascuno formato a guisa di corno scintillante che spandeva una pioggia d’oro sul terreno.

E dai bocci di quell’albero promanavano calore a gran luce. L’uno era detto Teleprion a Valinor e l’altro Laurelin.

Teleprion era il primogenito degli alberi, quello che per primo giunse a pienezza di statura e fioritura, e la prima ora in cui splendette candido luciore di un’alba d’argento, i Valar (gli Dei) non la posero nell’insieme delle ore ma lo chiamarono Ora Iniziale e a partire da essa contarono le ere del loro regno in Valinor.

La luce che gli alberi versavano durava a lungo prima di essere assorbita dall’aria o inghiottita dalla terra e le rugiade di Teleprion e la pioggia che cadeva da Laurelin, Varda le conservava in grandi tinozze simili a laghi lucenti e per tutta la terra dei Valara erano come sorgenti d’acqua e di luce. Così s’iniziarono i Giorni della Felicità in Valinor e così cominciò il Calcolo del Tempo.

Così parlò Yavanna: “Vorrei che gli alberi potessero parlare a pro di tutte le cose che hanno radici e punire chi fa loro del male” …e Ilùvatar fece cantare l’Albero Bianco >>.

 

Alla fine de racconto Latus guardò Dagar con occhi che sembravano aver riconquistato la giovinezza perduta nella morsa di gelo, e gli disse:

<< Ciò che ho detto era custodito in me, credo nessuno conoscesse l’esistenza di questa storia. Et Barello Eldorenna utùlien. Sinome maruvan af Hildinyar tenn’Ambar-metta! Dagar, vi prego, aiutatemi …>>.

Il Druido non capiva e chiese dove poteva trovare quest’albero e come poteva lui, Umano, riportare l’essenza della passione in esso; allora Latus gli raccontò di dove si trovava e come era arrivato a Lot.

La Principessa disse:

<< Dagar, io portai a Lot solo il frutto di Teleprion, il maschio, aveva 7 anni, quando lo trapiantai, qui ai margini del bosco; cantava, io sola potevo sentirlo, l’albero rappresenta ciò che era, il nostro passato, il bosco, qualcuno incendiò l’albero e fu riportato dalla vita alla "non vita". L’albero non è vivo! >>.

Allora Dagar iniziò a raccontare:

<< Percorsi il sentiero liquido che unisce la terra dei mortali al regno del silenzio e del sogno. La mia vela era gonfia di visioni raccolte dove il passo del pensiero trova conforto nel suo andare. Tornai con un dono per i figli della terra. Dov’è l’Albero? Latus, dove è la passione? >>.

Ma Latus non rispondeva mai direttamente alle domande. La sue parole furono:

<< Non esiste passione nell’Albero che ora vive ai Giardini, è persa, scomparsa, svanita. La natura è andata, è fuggita da lui. L’Albero non canta più nelle notti di luna piena e i pettirossi non si appoggiano più per trovare ristoro >>.

Dagar era ormai furioso, non capiva tutte queste parole e non capiva a cosa lui, Umano, potessero servire. Chiese quindi ancora una volta alla principessa Nandor:

<< Latus, dove è la passione? >>.

Latus stanca, incitata anche dal suo fratello Alkareth, rispose:

<< La passione è nella natura più nascosta di me e di voi di tutti, in coloro che sanno vivere, nel respiro del bosco. Voi Dagar dovrete andare là! >>.

Poi mi chiese di passarle una bisaccia. Nel suo interno c’era una cassetta di lebethron nero con rifiniture d’argento, che pose nelle mani di Dagar.

In quel momento la Principessa riacquistò la memoria e capì la ragione delle persone che stavano intorno a lei; capì che le loro storie erano legate dalla passione che albergava in tutti i loro cuori. Diede la cassetta a Dagar, insieme ad un’ampolla, contenente acqua del Bosco Antro, che il Paladino Daikin portava sempre con sé.

Ma il Druido Saggio non capiva dove fosse quella passione di cui tanto si parlava e  come lui potesse trovarla nella cassetta, né, tanto meno, cosa potesse fare lui per ridare vitalità all’albero.

L’Elfa cominciò a dire che solo lui poteva farcela, ora aveva l’acqua e il seme, che doveva sbrigarsi e che il viaggio sarebbe stato difficile, senza spiegarne il perché.

Nessuno di noi capiva fino in fondo, alcuni perché non di razza elfica, altri perché le parole di Latus non erano completamente esaustive.

Infine stremata dalla fatica disse:

<< Yavanna, sposa d’Aule, (Dio che esercita il dominio su tutte le sostanze, è sua la creazione di tutte le terre, egli è fabbro e maestro dei mestieri) è la Dispensatrice di Frutti. Essa ama tutte le cose che crescono sulla terra e ne conserva nella propria mente le innumerevoli forme, da quelle degli alberi simili a torri nelle foreste di un tempo, al muschio sulle pietre o alle piccole e segrete cose nell’argilla. In forma di donna ella è alta, vestita di verde. Certuni l’han vista starsene come un albero sotto il cielo coronata dal Sole e da tutti i suoi rami stillava una rugiada dorata sulla terra spoglia che si rivestiva di verde grano. Le radici dell’Albero s’affondavano però nelle acque d’Ulmo (Dio delle acque e delle sorgenti) i venti di Mawè (Dio dell’aria) parlavano tra le sue foglie. Lui … >> disse guardando Dagar << … è il vento, il bosco, la luna,  il muschio che ricopre il sasso. E’ la pietra che si trasforma in sabbia per confondersi con l’Universo, è la goccia del mare. Lui può entrare in ciò che è natura e natura diventare. Dagar ma non l’avete ancora capito? Voi Dagar siete L’ALBERO BIANCO! >>.
Ovviamente eravamo tutti basiti.

Dagar, che ora sapeva cosa fare, si diresse ai Giardini delle Delizie. Poi la Principessa chiese ad Alkareth di accompagnarla e noi tutti la seguimmo.

Arrivati ai Giardini Dagar era già nell’albero che svettava con le foglie al vento.

Mettemmo delle foglie intorno e ci prendemmo per mano cercando di infondere la nostra energia e la nostra passione. Molti di noi erano preoccupati del fatto che il Druido Saggio potesse perdere la vita.

Poi Latus pronunciò queste parole:

<< Albero Bianco, colui che è in te diventerà natura e natura sarà per sempre! >>.

Venimmo incitati a trasmettere la nostra passione verso l’albero e tutti concentrati in cerchio lo facemmo.

La Principessa degli Elfi parlava all’Albero Bianco e a Dagar, che era dentro di esso, incitandolo ad uscire, ricordandogli che lo aspettava fuori.

Ad un tratto, la corteccia dell'Albero Bianco si gonfiò fino a prendere la forma prima del volto, poi del corpo di Dagar. Poi il tronco dell'Albero Bianco si squarciò con un boato fragoroso, diffondendo attorno una luce rosso sangue, fino a che dallo squarcio nel tronco dell'albero uscì un bambino. Mille fiori caddero sulla testa della nuova vita che uscì dall’albero. Il bimbo si diresse verso la Principessa e mentre camminava cambiava aspetto, ad ogni passo cresceva, percorrendo tutte le età dell'uomo: giovane, adulto ed infine vecchio, riprendendo le sembianze del Druido Saggio.

Poi Dagar cadde a terra, stremato e privo di sensi.

Latus, da quel momento, iniziò a recuperare la sua bellezza e la sua giovinezza.

La Principessa degli Elfi Silvani e il Druido Saggio Umano, con la loro passione, riuscirono a ridare vita all’Albero Bianco.

Durante la notte pensai molto a ciò che mi era accaduto. Tentai di trovare una risposta nella Storia a questa faccenda, ma i pensieri non riuscivano a trovare un filo logico nella mia mente di Fata.

Il giorno successivo cercai Latus, per sincerarmi delle sue condizioni di salute. La raggiunsi alla Corte mentre stava conversando con Alkareth e il Paladino SirTristano.

Per un po’ ascoltai senza parlare, poi mi fu chiesta una mia ipotesi su tutto quello che era successo il dì passato.

Io riferii agli astanti di quando arrivarono le razze a Lot.

Prima fra tutte quella degli Elfi. Riferii dell’amore che sbocciò fra  l’Umano Elhron e l’Elfa Elea, e di come la bontà di Themis volle benedire quell’amore.

Themis allora permise ad un Umano e ad un Elfa di generare una razza nuova, mai vista prima: i Mezzelfi. Poi altre razze arrivarono a Lot; ma Umani ed Elfi furono le uniche razze che ebbero il permesso di procreare con la benedizione di Dea Themis.

Così è accaduto ancora. La passione che faceva muovere Latus e Dagar ha permesso al simbolo degli Elfi di prendere ancora vita. Una vita nuova non legata ad alcuna razza, ma sbocciata da un sentimento che ha, ancora una volta, rotto tutte le regole.

Non ci è dato sapere che vita e come continuerà a vivere l’Albero Bianco, visto che ora è in parte Umano e quindi mortale.

Sarà ancora una volta la Storia che ce lo farà sapere ...

 

Myriam

Curatore della storia di Lot

Ruasidhe maggiore