Nulla
mi sovviene della mia infanzia, il primo ricordo che ho profuma di terra bagnata
e di foglie. Era il giorno in cui un Vampiro di nome Narvalo mi ha trovata priva
di sensi, con evidenti segni di bruciature, con le unghie rovinate e sporche di
terra.
Era
un tardo pomeriggio d’Autunno, il sole che tramontava stava concludendo la
giornata inondando un bosco fulvo di foglie secche di bagliori rossi e arancio.
Narvalo mi trovò in mezzo alle foglie e, per controllare se ancora respiravo,
mi toccò … in quel momento mi svegliai. Io non sapevo chi fosse ed il suo
aspetto imponente mi spaventò. Lui ebbe pietà di me e, con parole gentili e
rassicuranti, mi convinse delle sue buone intenzioni e della sua sincera volontà
di aiutarmi.
Non so
ancora perché, ma decisi di fidarmi di lui. Accettai la mano che mi porse per
alzarmi da terra, sicura che seguirlo fosse la cosa migliore che in quel momento
potessi fare.
Nell’alzarmi
caddero però tutte le foglie; non so quanti anni avessi allora, ma il mio
corpo, adolescente ed acerbo, era coperto da pochi lembi di stoffa sporchi e
strappati. Portavo, inoltre, con me una bisaccia con dentro alcuni fogli di un
diario, molto probabilmente di mia madre, salvati anche loro da un probabile
incendio.
Egli
per il mio pudore si tolse il mantello e me lo donò, ma era troppo grande per
me, allora lo indossò di nuovo, mi prese in braccio, mi avvolse e mi portò
verso il suo castello.
<<Come
vi chiamate?>> mi chiese, ma io non lo ricordavo…
<<Per
me sarete Myriam>> sentenziò e da quel giorno questo è diventato il mio
nome.
Narvalo
era più grande di me, un Vampiro oltremodo colto, sensibile ed intenso; dopo
aver curato le ferite sul mio corpo e sulle mie ali, prese le pergamene
bruciacchiate che avevo nella bisaccia e, grazie alla sua conoscenza, ricostruì
a grandi linee la mia storia.
Mia
madre si chiamava Jole, era una Fata, io nacqui non so quando, in un luogo di
montagna chiamato Wald Tadinum, sito sul versante orientale della catena
montuosa dove era insediato il popolo da cui ho avuto origine. Non so chi fosse
mio padre, su quei fogli era solamente citato il nome di un Umano che proveniva
dalle terre del Nord, rosso di pelo e di nome Lothar; molto probabilmente si
tratta di lui, perché io possiedo i suoi colori.
Per
qualche anno mia madre e questo Umano vissero in armonia nella loro casa in
mezzo al bosco, finché un popolo d’invasori, capitanato da un tale Onorio o
Honur, decise di conquistare la città. L’Umano che stava vicino a mia madre
le costruì una casa in cima al monte, riparata da uno strapiombo. Io rimasi lì
con lei per tre lunghi anni. Durante quel periodo la persona che credo sia stata
mio padre combatté valorosamente contro il nemico, fino ad uccidergli il suo
unico figlio maschio, Manfred. Onorio letteralmente impazzito dal dolore
giustiziò mio padre e, per vendicarsi, diede fuoco alla città. Poi venne a
sapere che Lothar aveva una compagna e probabilmente una figlia, ma che non
risiedevano dentro le mura. Allora con l’aiuto di una Megera scoprì il nostro
nascondiglio, ci raggiunse e, dopo aver torturato mia madre, appiccò il fuoco
alla nostra casa che, essendo di legno di pino, prese fuoco all’istante. Mia
madre con le sue restanti forze scrisse le ultime righe del suo diario, le
chiuse in una bisaccia, me la legò stretta e molto probabilmente mi trasformò
in uccello, forse in un falco, quindi mi fece volare via.
Con
molta probabilità con lo scadere dell’incantesimo caddi esausta nel bosco
dove Narvalo m’incontrò.
Narvalo
fu per me un maestro e m’insegnò tutto quello che sapeva. Quando mi
raccontava le sue vicissitudini e le battaglie che aveva affrontato più di una
volta i miei occhi si bagnavano di commozione e d’apprensione. Pian piano il
profondo affetto che ci legava si trasformò in amore.
Ma dove
vivevamo non erano visti di buon occhio i Vampiri e non ci era possibile
legalizzare la nostra unione, anzi venivamo additati come adulteri ed emarginati
dalla società. Narvalo, un giorno, venne a conoscenza che esisteva un
Granducato di nome Lot dove l’utopia delle razze che vivevano in armonia
sembrava divenuta realtà. Muniti di poche cose percorremmo la perigliosa strada
per giungere in questa città e notammo che era vero tutto quello che si diceva.
Io per
la prima volta conobbi altre Fate, una specialmente, Melusine du Lac, che
m’insegnò tutto quello che una Fata doveva sapere e che mi rese orgogliosa
della mia natura di Ruashide o Fata Rossa.
Finalmente
libera e cosciente della mia natura di Fata, una volta giunta a Lot ho potuto
dare sfogo a quella vanità che albergava in me e non conoscevo. Da subito la
mia mente ed il mio corpo hanno accettato la corte gentile di un Elfo
proveniente dalla terra dei franchi, che mi aveva letteralmente fatto perdere il
lume della ragione. Quando la nostra storia finì io mi ritrovai sola, con il
cuore a pezzi e con scottature di gran lunga superiori a quelle del giorno in
cui iniziano i miei ricordi.
Mi guarì
l’amore per la Storia che trasferì in me il Sommo Detentore dell’Arcana
Saggezza Althair quando decise di volermi come Adepta della sua Gilda.
I
giorni passarono sereni, io m’impegnavo sempre più nella trascrizioni degli
eventi e raccontare la Storia del Granducato era per me diventata una missione.
A Lot
avevo oramai una famiglia, cominciata con il desiderio di adottarmi di Kantica,
una Vampira che a Lot faceva il Cerusico. Dopo molti mesi ebbi inoltre la
fortuna conoscere una Fata apparentemente strana, Eilian si chiamava, cercava
proprio me … diceva che ero sua sorella. Mi parlò di mia madre e capì che
era davvero chi diceva di essere.
Mia
sorella … non credevo che una gioia più grande potesse capitarmi …
Poi il
Verme di Kmuth infettò tutta la popolazione dei Vampiri del Granducato. Sia mia
madre che il mio compagno si ammalarono e, lentamente, dopo atroci sofferenze,
ritornarono alla Vita. Mia madre aveva uno scopo, curare la gente, e la sua
natura Umana l’aiutava in tutto questo. Il mio compagno si sentì invece
troppo diverso, non sopportava l’idea di ricominciare a vivere e cambiò nei
miei confronti.
Io,
forse troppo presa dai miei scritti e dal mio lavoro di Storica, non sono
riuscita a stargli vicino come avrei dovuto, ma la sua malinconia, il suo non
accettare questa nuova condizione mi stava spegnendo.
Come
tutte le Sidhe avevo bisogno di un sogno, anzi di vederlo riflesso negli occhi
di un altro e quell’altro non era più lui.
La
vita, per chi la sente breve ed urgente come un Umano, deve essere vissuta fino
in fondo, non si può attendere la morte per godere nuovamente della Non Vita.
Chi mi
aveva insegnato come si scrive la Storia m’insegnò anche
quest’atteggiamento curioso davanti al vivere, questo bisogno costante di
sapere, cercare, scrivere, leggere e ricordare.
Lentamente,
senza dolore, mi resi conto che il sogno che mi aveva fatto nascere partiva da
lui e che la mia più grande libertà era legata strettamente al fatto di
appartenergli, quindi, date le mie ridotte dimensioni, m’infilai nella sua
borsa per vivere ogni istante della mia giornata con lui.
Poi
anche mia sorella Eilian per amore si allontanò da Lot. Le vicende della Città
cambiarono profondamente la storia e le persone. Molte mie amiche Fate, per
amore o per Destino, cambiarono la loro natura ed io mi ritrovai sola, nelle mie
sembianze minuscole e con le mie grandi aspirazioni, traviate spesso dai cattivi
influssi della Ladra Firelips che, nonostante fosse diversissima da me, amo come
una sorella di sangue.
Esser
Detentore era quello che desideravo più di tutto, Althair, mio Maestro e
compagno guidava ogni mio passo con la saggezza dei suoi anni, insegnandomi ogni
giorno a rinnovarmi per dare stabilità alla mia vita. Fino a che un giorno
bruciò la borsa dove abitavo nel Sacro Braciere e svestì i panni di Sommo
Detentore dell’Arcana Saggezza.
Io
pensavo di essere rimasta senza casa e che mi avesse abbandonata, ma la paura
d’essere ancora una volta rimasta sola si trasformò in stupore. I Nobili
fecero tessere un secondo mantello da Sommo Detentore, ma di ridotte dimensioni,
sembrava fatto apposta per una Fata.
Il
mantello di Althair, per il volere della Dea, giunse tra le mani di Shanty,
un’Elfa con la quale ho sempre condiviso il mio destino a Lot, l’altro,
quello dalle dimensioni ridotte, invece venne consegnato a me.
Althair
quindi non lasciava me, anzi, mi dava la possibilità di volare con le mie ali
pur rimanendomi vicino come compagno.
Iniziava
per me una nuova vita. Ero diventata Sommo Detentore e ora ero io la guida dei
Saggi.
Che
fatica, che responsabilità per una piccola Fata! Ma non ero da sola, c’era
Shanty con me con cui guidare la Gilda che tanto amiamo.
Myriam