I miei capelli corvini svolazzarono
al vento, quando aprii la finestra sul bosco. Tutto era stranamente
tranquillo. Il mio viso pallido rispecchiava i sacrifici, e faceva
risaltare le mie iridi smeraldine. Il fermaglio non raccoglieva tutte
le ciocche, ed alcune di esse danzavano come ballerine davanti ai
miei occhi, formando uno spettacolo malinconico; come del resto era
diventata la mia vita dopo la perdita della mia famiglia.
Il mio vestito candido veniva bagnato a poco a poco da gocce di pioggia,
che lentamente scendevano dal cielo. Ero ferma, fissa ad osservare
il vuoto davanti al mio viso, oltre il bosco, dopo il lago solitario.
Dopo pochi secondi mi riscossi e tornai in me. Mi allontanai dalla
finestra e prendendo una vecchia sedia mi sedetti al tavolo. Davanti
a me una piuma nera, dell’inchiostro scuro e varie pergamene
bianche, sparse. Cominciai a scrivere.
Tutto cominciò da quell’assurdo e tragico viaggio, circa
25 anni umani orsono, voluto da mio padre per una banale commissione.
Quando il sole apparve all’orizzonte
ci preparammo e partimmo verso quel paese del Sud, paese che ai nostri
occhi rimaneva ignoto. Ci caricarono su una carrozza, trainata da
cavalli neri come la pece e lustri come la notte. Lo stesso colore
e la stessa lucentezza dei miei capelli.
Nella mia mente risuonano ancora le calde risate di mia madre; quella
mia madre mai più rivista. Le parole pronunziate con dolcezza
da mia sorella gemella.
I sussurri di segreti mai svelati, di mio fratello.
Gli scherzi di mia sorella maggiore, che mi facevano sempre innervosire,
seppur per brevi e interminabili minuti.
Ma sempre più fioche sono le loro voci, sempre meno emozioni
mi suscitano quei ricordi; sempre più lontani da me.
Arrivati a destinazione, mio padre, Elfo di una Nobile Stirpe, scese
ed entrò in un Maniero, dall’aspetto strano ed estremamente
inquietante.
Dopo qualche ora, ne uscii con lo sguardo più rilassato, e
ci raggiunse. Prese nella mancina le redini dei cavalli e con la destra
il frustino, e così riprendemmo il viaggio verso la nostra
casa. Il tempo passava lento, e anche un’ora mi pareva interminabile.
Arrivò la sera. Il sole, non più alto nel cielo, sembrava
stesse per cadere dietro la lontana linea dell’orizzonte. Lexmark,
mio padre, decise di sostare per la notte, lì dove il cammino
ci aveva condotti. Fu un errore colossale, l’inizio della mia
fine. Era ormai notte inoltrata, solo un vecchio gufo lanciava di
tanto in tanto il suo lugubre richiamo. Tutto pacifico intorno a noi,
tutto tranquillo o così almeno mi sembrava. Gli animali come
diventati muti e ciechi durante l’attesa del nero segno della
sventura che ci avrebbe colpito.
Nel bel mezzo del sonno di tutti ci attaccarono, colpirono e derubarono.
Non so cosa accadde ai miei cari famigliari, solo cosa accadde a me.
>>..Un rumore, un urlo soffocato.
Un lancinante addio…<<
Mi risvegliai sotto un alto ponte.
Ero in un paese sconosciuto, lo sentii sotto la mia pelle come un
lontano richiamo di mio padre. Le Tenebre regnavano, non vedevo nessuno
per i vicoli stretti e in pendenza. Ero arrivata, chissà come,
in un paese di Drow: Elfi che odiano la natura e il sole. Non sapevo
che fare. Ero sola. Sola con me stessa. Nessun viso rincuorante in
quel luogo. Tranne uno. Un volto candido di Fata; ArcoIris, arrivata
anch’ella in quel lugubre paese. Un intermezzo del suo tragitto
verso Est. La volevo conoscere.
Era simpatica, affettuosa, dolce con me. Una voce tranquilla, serena,
che mi dava un po’ di dolcezza al cuore. Decidemmo di abitare
in quel paese insieme, per poi riprendere il suo lungo viaggio. Pensavo
a cosa avrei potuto perdere. Non possedevo nulla che mi potesse essere
rubato, solo il dolore era mio, solo mio. Non mi costava niente tentare
la fortuna e ascoltare i battiti del mio cuore che guidavano i miei
passi.
Dopo mesi di vita in quel luogo Oscuro, imparai a comportarmi come
loro, così che il mio cuore divenne più freddo, impaziente
di vendetta, per ciò che mi era stato tolto; l’unica
cosa cui avessi mai tenuto veramente: la mia famiglia, la mia adorata
famiglia.
Una mattina mi svegliai e dopo
aver parlato con la Fata decidemmo di partire.
>>..Così il Destino
cominciò a giocare al nostro Gioco..<<
Il viaggio sarebbe stato lungo,
pieno di pericoli e di tranelli da parte degli abitanti delle Terre
che avremo dovuto attraversare. Ci fu un lato positivo. Io difendevo
lei e lei faceva altrettanto con me. Eravamo inseparabili, nonché
uniche compagne di viaggio. Essa decise di adottarmi; divenni sua
figlia. E un po’ del mio dolore si arginò.
Durante il viaggio ci furono molti pericoli, ma li superammo tutti
senza grossi problemi, assieme eravamo invincibili: l’amore
che ci univa era la nostra forza.
>>..Lontano gli occhi Elfici
avvistano, e una Terra Santa scorsero..<<
Un pomeriggio arrivammo su una
collina, ove la Natura regnava su tutto, e da qui, vidi delle alte
mura, di una gran fortezza, quasi incantata. Solo io potevo vederla,
così lontana, e la descrivevo ad ArcoIris. Ad ogni mia parola
pronunziata, ella apriva in volto un sorriso, sempre più solare,
sempre più colmo di speranza.
Non c’erano dubbi; avevamo trovato il Granducato di Lot.
Entrambe felici, percorremmo il tragitto rimanente, scendendo dalla
collina. Scivolai distrattamente sulla ghiaia e un perfido ramo mi
ferì sulla spalla sinistra, in profondità. Comunque,
arrivammo sane e salve alle maestose ed arcane porte della cittadina.
Ora da qui, nella mancina la piccola
piuma corvina che muovo sulla pergamena, narrando la mia vita passata.
Ancora adesso ho la cicatrice di quel lungo viaggio, che risalta sul
pallido colore della mia pelle.
Ho avuto notizie dei miei famigliari, li ho rivisti molto volentieri.
Avevo bisogno di ricordare più chiaramente gli scherzi della
mia sorella maggiore, le chiacchierate con la mia gemella, rimettermi
alla prova, mantenendo altri segreti di mio fratello. Ma anche di
risentire la voce di mia madre e rivedere il volto di mio padre. Ora,
comunque, la mia unica madre rimane ArcoIris, e lo sarà per
sempre.
Nel frattempo ho conosciuto i parenti di mio padre, che sono arrivati
anch’essi a Lot. Mia zia Kalendas e sua sorella SaFir, con il
nipote, nonché mio fratellastro Tulipan, nato dall’Amore
di mio padre e la sua prima fidanzata. Durante la mia permanenza qui
ho avuto un’elfa Nanny, un angelo adulto, Judas, una piccola
elfa Shannon e ho avuto una figlia di sangue, Aurym, Mezz’elfa
tredicenne.
Ancora non conosco tutti, ma spero un giorno di rispondere ad ogni
mio dubbio.
Nell’Anno VII mese 10° giorno 23° unii il mio Percorso
a quello dei Detentori dell’Arcana Saggezza.
La storia di questo GranDucato, resta ancor ai miei occhi per la maggior
parte ignota, indi sto sfruttando quest’occasione per apprenderne
ogni Segreto. In questa Gilda ho conosciuto molti Detentori, con alcuni
di essi ho legato particolarmente, ma in generale tutti sono gentili
con chi ha bisogno in qualsiasi momento et ambito. Conto di restar
con loro per molto tempo ancora.
Maghelfa Kerlitch Alisen
Custode Degli Annali della Storia